Capitolo 11: ritorno in Brasile
Non avere il permesso di
soggiorno, era un reato.
Se, alla mia uscita dell’Italia,
qualcuno avesse voluto punirmi, era lecito.
Avevo il terrore solo a pensarci,
perché questo prevedeva una segnalazione sul mio passaporto, una multa
altissima ed il divieto di poter ritornare in Italia.
Niente era più crudele che essere condannata ad un esilio,
di un Paese che non era il mio ma che comunque amavo profondamente.
E non c’era nulla che potesse
rendermi innocente davanti alla Legge.
Avevo distrattamente commesso un
reato.
La causa dell’amore, che non era
di certo un’attenuante.
Però non avevo mai fatto male a
nessuno.
Confesso di aver mangiato, anche
lentamente, tante olive italiane, perché quelle erano delle divinità reincarnate
sulla Terra.
E ho spudoratamente camminato a fianco a quell’uomo, tutti i
giorni che la Vita mi ha voluto regalare e oltre i tre mesi concessi secondo le
regole dell’immigrazione.
Tre giorni prima della mia
partenza, nevicò.
Stupore!
Non avevo mai visto la neve!
Come per incantesimo, il futuro
non era più importante.
La neve mi riportava al tempo
presente ed era bellissimo esserci.
Arrivammo all’aeroporto di
Genova.
Tremavo e sudavo.
Quando presero il mio passaporto,
mi fecero notare che la data odierna coincideva con la data del mio rientro in
Italia, con la differenza di un anno.
Dopo un lungo silenzio, e una
faccia molto chiusa, mi fece passare.
Sentii un alleggerimento
indescrivibile e mi accorsi di un liquido caldo che scorreva sui miei pantaloni.
Era possibile che mi fossi
pisciata addosso d’allegria?
Per fortuna no, era soltanto
l’olio di oliva che si era versato, dentro la valigia che tenevo sulle gambe...
Feci tutto il viaggio puzzando di
pizza.
Arrivai in Brasile, dopo
trecentosessantacinque giorni intensamente vissuti in Italia.
Ho rivisto la mia famiglia e la mia città.
Ho rivisto la mia famiglia e la mia città.
Provai amore, alleggerimento,
gioia ed anche qualcos’altro, che si sarebbe svelato lentamente durante gli
anni successivi.
Infine a casa mia, circondata da
tutte le cose, una volta a me naturali, ho avuto veramente la conferma di
quanto fossi cambiata.
Comunque, in quel momento, non
avevo tempo per approfondire alcun pensiero.
Ci mettemmo subito al lavoro.
Ci mettemmo subito al lavoro.
La casa che doveva ospitarci e
divenire la sede darearte ad Atibaia, era un rudere.
Con le nostre sole mani, contando soltanto sulle nostre forze, l’abbiamo completamente ristrutturata, arredata, abbellita e arricchita con la nostra creatività.
Per l’arte non occorre una grande economia, ma uno spirito visionario.
Con le nostre sole mani, contando soltanto sulle nostre forze, l’abbiamo completamente ristrutturata, arredata, abbellita e arricchita con la nostra creatività.
Per l’arte non occorre una grande economia, ma uno spirito visionario.
Con materiali di scarto o
regalati, abbiamo costruito mobili, strutture e scaffali.
Con tinta bianca e colori in polvere, ogni vano di quel luogo squallido prese una vivace atmosfera giocosa.
Con tinta bianca e colori in polvere, ogni vano di quel luogo squallido prese una vivace atmosfera giocosa.
Il bagno, fu una parte speciale
da rifare.
Era piccolo e tutto nero, la
muffa e lo sporco lo rendevano claustrofobico.
Con piastrelle raccolte per strada, facemmo un mosaico sulle sue pareti.
Con piastrelle raccolte per strada, facemmo un mosaico sulle sue pareti.
Presto, quel brutto bagno,
sarebbe diventato un luminoso Regno del Mare.
Un mosaico blu e bianco, con pesci di gesso che nuotavano.
Un mosaico blu e bianco, con pesci di gesso che nuotavano.
Fu davvero faticoso farlo, ma
adesso aveva finalmente un’identità.
Per tanti giorni, siamo stati
chiusi in quel piccolo spazio a rompere le piastrelle e costruire quell’immenso
puzzle, senza dire parola.
L’unico rumore era la musica
sorda del nostro lavoro e la nostra respirazione.
Non era più necessario chiederci
nulla, ci scambiavamo attrezzi e ci aiutavamo in una complicità invisibile.
Quando fu tutto finito, ci
abbracciammo per ammirare la nostra creazione.
Quel respiro insieme, è stato un momento intimo di grande bellezza.
Quel respiro insieme, è stato un momento intimo di grande bellezza.
Ci accorgemmo che avevamo
dimenticato di fare il buco per appendere lo specchio.
Lui prese un trapano, forò e di
colpo ci ritrovammo inondati da un violento getto d’acqua.
Aveva bucato l’unico tubo del
bagno.
Questo voleva dire che dovevamo
distruggere una parte del mosaico e ricominciare da capo.
Senza offesa, senza stanchezza,
nè lamento.
Ridendo.
Tutto questo è anche una metafora
di ciò che, per noi due, era lo spirito dell’associazione: riutilizzare vecchie
piastrelle, romperle, incollarle e darle un nuovo significato e bellezza.
E anche davanti a qualsiasi
difficoltà, anche se da soli e stretti in uno spazio poco accogliente, siamo
sempre stati capaci di ricominciare e rinnovare.
E la medesima cosa valeva per la
nostra vita personale.
Con tutta quest’energia e amore,
siamo partiti verso la realizzazione dei progetti in campo.
Lui aveva ripreso i contatti con
le strutture che aveva conosciuto precedentemente e fece nuove scoperte
speciali e importanti.
Nella Vita tutto conta, anche
quei momenti che crediamo essere inutili.
Tutto il tempo trascorso a
Genova, adesso, sembrava avere un senso.
Fu in quella città che c’eravamo
conosciuti più a fondo e dove avevamo intravisto i nostri limiti e le nostre
forze.
A Genova abbiamo avuto il tempo
per svilupparci e, dopo una lunga gestazione, qualcosa di nuovo stava
finalmente per nascere.
Ripartimmo per la Linea del
Fronte, senza macchia nè paura, Don Chisciotte e Sancho Panza sui loro cavalli alati.
Katia
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