INFORMAZIONI SU QUESTO LIBRO-BLOG

Questa storia narra di dieci anni vissuti da Katia e da Giuliano.
Il racconto è un "binario", costruito a "doppi capitoli", scritti individualmente dai due autori.
Ogni anno raccontato, dal 2003 al 2013, racchiude cinque capitoli, al termine dei quali,
si conclude un paragrafo e sono pubblicate delle immagini inerenti gli stessi capitoli.
Il libro, nel suo complesso, avrà pertanto 10 paragrafi, composti da 5 doppi capitoli ciascuno.
La pubblicazione di ogni nuovo capitolo avviene senza un tempo determinato, essendo attualmente in fase di creazione.

p.s.: non possiamo essere responsabili della traduzione tramite google che, purtroppo, risulta NON essere completamente compatibile con il testo originale in lingua italiana.

contatto:emaildiecianni@gmail.com
Grazie per seguirci.
Katia & Giuliano

domenica 9 febbraio 2014

Capitolo 11: ritorno in Brasile


Capitolo 11: ritorno in Brasile

Non avere il permesso di soggiorno, era un reato.
Se, alla mia uscita dell’Italia, qualcuno avesse voluto punirmi, era lecito.
Avevo il terrore solo a pensarci, perché questo prevedeva una segnalazione sul mio passaporto, una multa altissima ed il divieto di poter ritornare in Italia.
Niente era più crudele che essere condannata ad un esilio, di un Paese che non era il mio ma che comunque amavo profondamente.
E non c’era nulla che potesse rendermi innocente davanti alla Legge.
Avevo distrattamente commesso un reato.
La causa dell’amore, che non era di certo un’attenuante.
Però non avevo mai fatto male a nessuno.
Confesso di aver mangiato, anche lentamente, tante olive italiane, perché quelle erano delle divinità reincarnate sulla Terra.
E  ho spudoratamente camminato a fianco a quell’uomo, tutti i giorni che la Vita mi ha voluto regalare e oltre i tre mesi concessi secondo le regole dell’immigrazione.

Tre giorni prima della mia partenza, nevicò.
Stupore!
Non avevo mai visto la neve!
Come per incantesimo, il futuro non era più importante.
La neve mi riportava al tempo presente ed era bellissimo esserci.

Arrivammo all’aeroporto di Genova.
Tremavo e sudavo.
Quando presero il mio passaporto, mi fecero notare che la data odierna coincideva con la data del mio rientro in Italia, con la differenza di un anno.
Dopo un lungo silenzio, e una faccia molto chiusa, mi fece passare.
Sentii un alleggerimento indescrivibile e mi accorsi di un liquido caldo che scorreva sui miei pantaloni.
Era possibile che mi fossi pisciata addosso d’allegria?
Per fortuna no, era soltanto l’olio di oliva che si era versato, dentro la valigia che tenevo sulle gambe...
Feci tutto il viaggio puzzando di pizza.

Arrivai in Brasile, dopo trecentosessantacinque giorni intensamente vissuti in Italia.
Ho rivisto la mia famiglia e la mia città.
Provai amore, alleggerimento, gioia ed anche qualcos’altro, che si sarebbe svelato lentamente durante gli anni successivi.
Infine a casa mia, circondata da tutte le cose, una volta a me naturali, ho avuto veramente la conferma di quanto fossi cambiata.
Comunque, in quel momento, non avevo tempo per approfondire alcun pensiero.
Ci mettemmo subito al lavoro.

La casa che doveva ospitarci e divenire la sede darearte ad Atibaia, era un rudere.
Con le nostre sole mani, contando soltanto sulle nostre forze, l’abbiamo completamente ristrutturata, arredata, abbellita e arricchita con la nostra creatività.
Per l’arte non occorre una grande economia, ma uno spirito visionario.
Con materiali di scarto o regalati, abbiamo costruito mobili, strutture e scaffali.
Con tinta bianca e colori in polvere, ogni vano di quel luogo squallido prese una vivace atmosfera giocosa.
Il bagno, fu una parte speciale da rifare.
Era piccolo e tutto nero, la muffa e lo sporco lo rendevano claustrofobico.
Con piastrelle raccolte per strada, facemmo un mosaico sulle sue pareti.
Presto, quel brutto bagno, sarebbe diventato un luminoso Regno del Mare.
Un mosaico blu e bianco, con pesci di gesso che nuotavano.
Fu davvero faticoso farlo, ma adesso aveva finalmente un’identità.
Per tanti giorni, siamo stati chiusi in quel piccolo spazio a rompere le piastrelle e costruire quell’immenso puzzle, senza dire parola.
L’unico rumore era la musica sorda del nostro lavoro e la nostra respirazione.
Non era più necessario chiederci nulla, ci scambiavamo attrezzi e ci aiutavamo in una complicità invisibile.
Quando fu tutto finito, ci abbracciammo per ammirare la nostra creazione.
Quel respiro insieme, è stato un momento intimo di grande bellezza.
Ci accorgemmo che avevamo dimenticato di fare il buco per appendere lo specchio.
Lui prese un trapano, forò e di colpo ci ritrovammo inondati da un violento getto d’acqua.
Aveva bucato l’unico tubo del bagno.
Questo voleva dire che dovevamo distruggere una parte del mosaico e ricominciare da capo.
Senza offesa, senza stanchezza, nè lamento.
Ridendo.
Tutto questo è anche una metafora di ciò che, per noi due, era lo spirito dell’associazione: riutilizzare vecchie piastrelle, romperle, incollarle e darle un nuovo significato e bellezza.
E anche davanti a qualsiasi difficoltà, anche se da soli e stretti in uno spazio poco accogliente, siamo sempre stati capaci di ricominciare e rinnovare.

E la medesima cosa valeva per la nostra vita personale.
Con tutta quest’energia e amore, siamo partiti verso la realizzazione dei progetti in campo.
Lui aveva ripreso i contatti con le strutture che aveva conosciuto precedentemente e fece nuove scoperte speciali e importanti.
Nella Vita tutto conta, anche quei momenti che crediamo essere inutili.
Tutto il tempo trascorso a Genova, adesso, sembrava avere un senso.
Fu in quella città che c’eravamo conosciuti più a fondo e dove avevamo intravisto i nostri limiti e le nostre forze.
A Genova abbiamo avuto il tempo per svilupparci e, dopo una lunga gestazione, qualcosa di nuovo stava finalmente per nascere.

Ripartimmo per la Linea del Fronte, senza macchia nè paura, Don Chisciotte  e Sancho Panza sui loro cavalli alati.

Katia

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