INFORMAZIONI SU QUESTO LIBRO-BLOG

Questa storia narra di dieci anni vissuti da Katia e da Giuliano.
Il racconto è un "binario", costruito a "doppi capitoli", scritti individualmente dai due autori.
Ogni anno raccontato, dal 2003 al 2013, racchiude cinque capitoli, al termine dei quali,
si conclude un paragrafo e sono pubblicate delle immagini inerenti gli stessi capitoli.
Il libro, nel suo complesso, avrà pertanto 10 paragrafi, composti da 5 doppi capitoli ciascuno.
La pubblicazione di ogni nuovo capitolo avviene senza un tempo determinato, essendo attualmente in fase di creazione.

p.s.: non possiamo essere responsabili della traduzione tramite google che, purtroppo, risulta NON essere completamente compatibile con il testo originale in lingua italiana.

contatto:emaildiecianni@gmail.com
Grazie per seguirci.
Katia & Giuliano

domenica 9 febbraio 2014

Capitolo 11: ritorno in Brasile


Capitolo 11: ritorno in Brasile

All’aeroporto Katia sudava freddo.
Era rimasta in Italia molto più tempo del previsto e per questo temeva di subire un’umiliante punizione o comunque qualcosa di grave da parte di un severo controllo doganale.
Allo sportello, alla consegna dei documenti d’imbarco, ci fu un momento di suspence.
L’uomo in divisa grigia mi squadrò a volto serio, un paio di volte, e poi squadrò lei riuscendo ad essere ancor più serio.
Si trattava di uscire dal Paese, non di restare, forse per questo motivo gli bastò digrignare i denti e ci fece passare.
Katia riprese colore e ritornò sorridente dopo aver affrontato e superato, un ostacolo per lei tanto spaventoso come quello del mondo delle divise, delle regole burocratiche e di quelle forme di potere istituzionale tanto lontane alla sua comprensione, che decidono quale strada dovresti prendere.
Un’ingenuo cappuccetto rosso in un bosco buio e infestato da centinaia di lupi affamati, tutti mascherati da nonnine.
Forse si sentiva così.

Finalmente giunse il momento del nostro volo e viaggiammo in aereo, per la prima volta insieme, verso la terra dei tucani, del carnevale, delle favelas, dei grattacieli, degli indios, dei paradossi, di Yemanjà Dea del Mare.

Il nostro aereo giunse a destinazione due giorni prima del mio 40esimo anniversario.
Mai avrei pensato di aver raggiunto tale età.
Quaranta anni.
Non descrivo il mio compleanno perché non me lo ricordo, come gli altri 39 trascorsi. Forse non ho mai avuto una buona relazione con il giorno della mia nascita.
Ma comunque fosse, ero in Brasile, ad Atibaia, per la mia seconda chiamata sul fronte, per la seconda puntata, per il secondo giro di giostra.

Anticipatamente dall’Italia, avevamo affittato una piccola casetta indipendente che, ci dissero, era solo un pò da ripulire e sarebbe stata pronta.
Pertanto ci fidammo e, al nostro arrivo, quando ci trovammo dinanzi alla casetta, restammo a bocca aperta.
Era completamente distrutta.

Era stata abbandonata da tempo dagli ultimi inquilini e qualcuno l’aveva svuotata di ogni cosa, dai lavandini alla doccia.
Non c’era più nulla.
E quello che c’era, era ricoperto da muffa e sporco, tanto da spaventare un orco.
Dal tetto pioveva acqua e al suo interno pareti in condizioni oscene, squarci nel muro, nessun vetro, nessun mobile, il pavimento in legno rovinato, impianto luci inesistente e una gran puzza.
Non potevamo fare altro che rimboccarci le maniche e darci da fare.

Quella prima notte dormimmo su un materasso abbandonato, che non ho coraggio nemmeno di ricordare, e solo la stanchezza del viaggio ci consentì di chiudere occhio.
L’indomani sarebbe stato il primo di un interminabile e continuo periodo di lavoro, senza mai soste, per sistemare quella casa.
Abbiamo ripulito e dipinto, riparato e sostituito, ritrutturato e arredato, colorato e completamente trasformata, quella povera casupola di una cucina e due piccole stanze e mezzo.
Io e Katia.
Ma riuscimmo anche a dare lavoro retribuito ad una coppia di tristi muratori e a Maria che, senza fissa dimora, viveva in quei giorni in un garage insieme ai suoi due figli, grazie alla cortesia di una parente di Katia.
Maria si massacrò le ginocchia insieme a noi, per levigare e ripulire il pavimento delle tre stanze, dove il legno era stato devastato.
Un giorno intero in ginocchio, senza fermarsi.
E nemmeno alla sera non riuscii a riposare un attimo, a causa di un mostruoso temporale brasiliano che mi costrinse ad installare rapidamente i vetri alla finestra, per salvarci da un allagamento.
Ma l’acqua entrò comunque dal tetto rotto.
E dal bagno, ormai trasformato in una fetida piscina, dato che dallo scarico entrava acqua degli scarichi della fogna che, disperatamente e bagnato fradicio, spalavo fuori dalla porta del retro, mentre Katia cercava di salvare le nostre poche cose ancora chiuse in valigia dalla pioggia che arrivava, violenta e senza sosta, sia dall’alto che dal basso.
Non riuscimmo a comprarci nulla da mangiare e, avendo solo un poco di riso, riuscimmo a cucinarlo senza condimento alcuno, ma per noi, in quelle condizioni, ci apparve la cosa più buona che potessimo mangiare.
In quei giorni fummo colpiti entrambi da “dissenterie di ambientamento” e da altre piccole e simpatiche piccole disgrazie che credo siano giunte solo per darci un saluto, un po’ come ricordarci che adesso eravamo in un altro posto, in altre condizioni.
Una sveglia, un “benvenuti in Brasile”.

La mia pratica nei lavori manuali e la follia creativa della mia compagna, si univano nuovamente per prendere in mano la situazione, per dare una direzione al nostro cammino.
La trasformazione della baracca fatiscente in una carinissima casetta accogliente, non fu solo un’operazione di lavori concreti, ma ciò che la rese bella fu ciò che noi, ogni giorno, mettevamo insieme alla tinta e al sudore: il nostro Amore.

Avevamo finalmente dove stare e uno spazio d’incontro per l’associazione.
Da lì partirono tutti i progetti che, successivamente, realizzammo ad Atibaia.
Darearte aveva la sua sede distaccata in Brasile.

Durante la ristrutturazione ed i progetti, io continuavo ad avere incontri e nuove conoscenze per creare, localmente, una rete tra le Entità del terzo settore e l’Amministrazione Pubblica, tutti molto curiosi delle nostre intenzioni sul loro territorio.
Una delle cose che non sono mai riuscito a far capire, era che il nostro fosse Volontariato.
Per intenderci, quell’operato che non ha retribuzione o un secondo fine o un interesse diverso oltre quello della donazione del proprio fare.
Questo sfuggiva a chiunque.
In vero, mi si guardava come se ci fosse sempre qualcosa sotto, qualche intenzione occulta.
Ci si chiedeva se volessi arrivare da qualche parte, ottenere dei vantaggi non espliciti.
Ebbene, si, ora sarò esplicito.
Ho sempre avuto qualcosa sotto.
Era la volontà di crescere, di vedermi sperimentare, di condividere.
E questo mai lo dicevo.
Ebbene si, ho sempre avuto intenzioni nascoste.
Erano quelle che mi spingevano a donare il mio tempo, la mia vita, consapevolmente, per provare a me stesso che non siamo divisi, ma siamo tutti uniti.
E questo mai lo dicevo.
Si, ho sempre voluto arrivare da qualche parte.
Era il luogo nuovo, dove non ero ancora stato, vedermi in viaggio, sempre.
E questo mai lo dicevo.
E ho sempre ottenuto dei vantaggi personali.
Si, ho vissuto.
E questo ve lo dico adesso.

 Giuliano

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