INFORMAZIONI SU QUESTO LIBRO-BLOG

Questa storia narra di dieci anni vissuti da Katia e da Giuliano.
Il racconto è un "binario", costruito a "doppi capitoli", scritti individualmente dai due autori.
Ogni anno raccontato, dal 2003 al 2013, racchiude cinque capitoli, al termine dei quali,
si conclude un paragrafo e sono pubblicate delle immagini inerenti gli stessi capitoli.
Il libro, nel suo complesso, avrà pertanto 10 paragrafi, composti da 5 doppi capitoli ciascuno.
La pubblicazione di ogni nuovo capitolo avviene senza un tempo determinato, essendo attualmente in fase di creazione.

p.s.: non possiamo essere responsabili della traduzione tramite google che, purtroppo, risulta NON essere completamente compatibile con il testo originale in lingua italiana.

contatto:emaildiecianni@gmail.com
Grazie per seguirci.
Katia & Giuliano

domenica 17 novembre 2013

Capitolo 2: Giuliano

Capitolo 2: Giuliano

Era già pomeriggio. 
Restavo seduta al mio banchetto, nel mercato degli artigiani, da almeno cinque ore e non avevo venduto un’ unico pezzo. 
Ero completamente lontana dal presente, non curavo minimamente i clienti e non mi accorgevo del mondo intorno. Avevo soltanto attenzione ai miei pensieri, impegnati a trovare un modo per ripartire per Sao Paulo, l’indomani.

La mia mente vagava di qua e di là, andando a frugare nel passato, quando mio padre mi permise di studiare in una scuola privata, di quell’immensa metropoli. 
Era l’unica soluzione per un possibile accesso all’Università.
A quel tempo abitavo nella campagna di Atibaia, e dovevo affrontare uno stancante viaggio di andata e ritorno in autobus, tutti i giorni. 
Un lunedì, mio padre mi accompagnò alla fermata e si accorse che avevo una valigia in mano, ma nessuno di noi due si disse nulla, come era nella nostra usanza familiare. 
Quando uscii della macchina, lo salutai e aggiunsi: 
-“Ci vediamo sabato!”
Fu così che cominciai a vivere a Sao Paulo, in una pensione per sole donne, in una zona chiamata “Paradiso”. 
Era il nome giusto, perche’ lì ho vissuto giorni davvero belli, che porterò per sempre nel cuore.

Nella piccola pensione a due piani, abitavano trentacinque donne, provenienti da tutte le regioni del Brasile, con mestieri, colori, età e culture diverse. 
Era uno strano ed affascinante mosaico di donne: la vecchia, che bestemmiava a tutte le ore, la zoppa, perchè da bambina una vipera l’aveva morsicata ad una gamba e per tre giorni rimase come morta finchè un indigeno la salvò, la magrissima del sertao (il deserto brasiliano), che raccoglieva oggetti di plastica per poi mostrarli ai suoi parenti che non conoscevano una simile “tecnologia”, la grassa prostituta di mezza età, che dovunque si portava un secchio per fare pipì, e la silenziosa, che scontò vent’anni di galera per aver ucciso il cognato e l’unica frase che ripeteva a noi era: “Se avete bisogno, chiamatemi” e con la mano mimava l’atto della decapitazione.
Erano donne così forti che una notte picchiarono l’unico ladro che si era azzardato ad entrare nella nostra casa. 
Ma quando erano mescolate alla gente, per le strade della grande Citta’, nessuno faceva caso alla loro esistenza. 
Ma io sapevo quanto erano incredibili. 
Volevo bene a tutte quante loro.
Mi hanno insegnato a cucinare e mi hanno insegnato cose che fino ad oggi ancora non ho compreso e, nonostante nessuna di loro sapesse leggere o scrivere, quanta saggezza hanno donato alla mia vita!

Vivemmo insieme per un intero anno e come regalo mi lasciarono, per sempre, la loro musicalità.
Per questo motivo, tutte le volte che parlavo, nessuno riusciva a identificare da dove provenisse il mio strano accento. 
E’ perché mescolavo tutti gli accenti di quelle magiche donne. 
Addirittura mi chiedevano in quale Paese fossi nata. 
Avrei voluto rispondere che venivo dal Paese delle Donne, nel Paradiso dove, in una pensione, vi era rinchiuso tutto il Brasile.

Piu’ pensavo e meno riuscivo a restare in quel banchetto. 
Sì! Dovevo prendere la mia valigia, come quella volta, e partire!
Ma adesso, ero così sconfitta e priva di grinta… sarei stata capace? 
Ad un tratto, smontai tutto e mi congedai gridando: 
-“Me ne vado! Vado via, ciao e fine!”
Cominciai a correre e correre, per mangiare aria. 
Strada facendo, sentii lontanamente una musica e decisi di seguirla.
La piazza centrale era tutta vestita di rosso, bianco e verde e, davanti alla Chiesa, sventolava la bandiera italiana. 
La musica era una specie di Tarantella e c’erano dei ballerini vestiti in costume folcloristico, con i quali danzava goffamente anche il Parroco. 
Era la festa in onore a San Gennaro, una festa dedicata ai discendenti degli immigrati italiani.

Oh, che fortuna! 
Ero anch’io una discendente di italiani: allora avevo il diritto di partecipare!
Solo l’Italia, in quel momento, poteva distogliermi dai miei pensieri. 
Stavo per buttarmi tra la folla, quando improvvisamente il mio cuore sussultò. 
Ero terrorizzata, perche’ fino a quel momento, non ricordo di aver mai visto un uomo così bello.

Restai immobile e lo guardai, ma più lo guardavo, più ero inchiodata alla terra. 
Forse la cosa migliore sarebbe stata quella di scappare prima che succedesse una tragedia, come innamorarsi perdutamente di uno sconosciuto.
Sì, era decisamente meglio fuggire! 
Era difficile reggere la vita stessa, figurariamoci aggiungere un tale scombussolamento al cuore.
Dovevo scappare!
Guai a chi non dà ascolto alle Storie: tutte le tragedie greche insegnano che fuggire da qualcosa,  può soltanto accelerarne l’incontro. 
Ed ecco che proprio quando sono scappata, lo ritrovai davanti a me.
E qualcuno ci ha addirittura presentati! 
Quello che seguì fu un terremoto dentro. 
Lui, da vicino, non era soltanto bello, ma aveva una luce, un alone intorno e una voce così melodica, così serena che mi costringeva alla sua presenza,  e poi… era anche un italiano! 
Che sfiga, le sue parole erano tutte italiane! 
Era così bello sentirle… uscivano della sua bocca, facevano un giro nell’aria e mi arrivavano subito al cuore. 
Ad ogni verbo, sostantivo, aggettivo, vedevo l’Italia, con gli alberi d’olivo, questo Paese mille volte immaginato e amato, ma appena intravisto. 
Era palese che non sarei sopravissuta.
E mi vergognavo un pò, perchè non seguivo nulla di quello che provava a dirmi, qualcosa in relazione al suo lavoro e su un’associazione di volontariato.
Di certo ero una potenziale volontaria, già da sola creavo laboratori gratuiti, ma se lui avesse saputo cosa provavo in quel momento, tutto lo scompiglio che mi stava succedendo dentro, forse avrebbe rinunciato a invitarmi per i suoi progetti. 
Volevo andarmene, perchè con il tramonto vedevo, ancor di più, la sua bellezza lunare, ma restavo immobile. 
Sudavo e sentivo che puzzavo.
Ma, finalmente, fu lui che dovette andarsene ma prima di salutarmi mi diede il suo biglietto da visita e quando pronunciò il suo nome, le sue parole divennero un rogo, dove io, volontariamente, mi sono gettata. 
Continuavo a sudare, tremavo e la faccia mi bruciava, tutto era un incendio in me.
Lo salutai facendo finta che ero ancora in possesso delle facoltà mentali e poi scappai correndo, con il biglietto di visita stretto in mano. 
Quando mi accorsi che ero abbastanza lontana, lessi ad alta voce il suo nome, tante volte per tutto il percorso.
Arrivai a casa che avevo la febbre alta. 
Passai la notte in delirio.
Al mattino stavo meglio e mia sorella mi chiese chi fosse “Giuliano”.
Le chiesi il perché di quella domanda e lei ridendo, rispose:
- “Hai urlato questo nome per tutta la notte”

L’indomani non partii per Sao Paulo.
E nemmeno nei giorni seguenti.
E nemmeno nei mesi a venire.
Non sarei ripartita e non avrei vissuto mai più in quella città.
La vita mi stava portando altrove.

Katia

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.