Capitolo 3: Insieme
La possibilità che potesse
succedere qualcosa di davvero incredibile, ad Atibaia, era tanto remota quanto
un’alluvione d’acqua nel deserto!
Oppure, ero soltanto io che,
immersa nel dolore, non ero stata capace di vedere lontano.
Ed ecco che quell’uomo fantastico
girava per la mia piccola città!
Avevo un appuntamento con lui,
nella stessa piazza dove c’eravamo conosciuti e per lui non sarebbe stato
difficile trovarla, dato che era l’unica.
Voleva parlarmi sull’associazione
di volontariato della quale era il responsabile e dei progetti da svolgere in
Brasile.
Su questo argomento era molto
chiaro che lui ci mettesse il cuore, l’anima, il corpo e tutto il resto.
Sopratutto era questo il motivo del suo viaggio, ed era per questo che stava lì,
nella nostra povera e piccola città, e non per un miracolo, come credeva il mio
cuore.
Comunque sia quest’associazione
era molto importante per lui e, per veder sbocciare il suo sorriso, ero
disposta a tutto.
Volevo essere d’aiuto in
quest’impresa, ero pronta come un soldato che si presenta alle armi.
Se mi avesse dato un cucchiaio
rotto e mi avesse mandato a svuotare un fiume, andavo.
Ma avevo paura di quello che
provavo dentro.
Sarei stata capace di
controllarmi?
Di non arrossire, sudare e puzzare
ed essere ragionevole?
Allora, prima del suo arrivo,
entrai in Chiesa.
Volevo pregare per tutte le
Entità magiche, ai Santi, agli Dei di tutte le religioni, (dato che per
dominare un mare dentro, un solo Santo non fa il miracolo, c’è bisogno di
numerose forze messe insieme).
Inginocchiata, pregavo.
Per prima cosa ho ringraziato per
l’avvenimento straordinario e poi chiesi ai Santi di farmi diventare una
persona in uno stato normale e con un cervello funzionante.
Almeno un poco pare che abbia
funzionato, perché non svenni al suo arrivo e riuscii ad ascoltarlo e anche
dire qualcosa che avesse un senso.
Abbiamo cominciato da subito a
lavorare insieme.
Mi chiese di disegnare il
volantino ed il marchio dell’associazione.
Era strano il suo senso assoluto
di organizzazione, qualcosa a me completamente sconosciuto. Riusciva a
pianificare ogni progetto e a dargli un margine, un contenitore, una vita
propria, con un inizio un mezzo e una fine.
Aveva chiaro che tutte le persone
erano connesse, come da un filo invisibile, e che un singolo cambiamento era
capace di provocare un centinaio di successive trasformazioni.
Non aveva pretese faraoniche,
diceva che se fossimo riusciti ad aiutare un unico bambino, il nostro compito
era raggiunto.
Inoltre era estremamente gentile
e generoso con chiunque si avvicinasse all’associazione, voleva conoscere il
loro lavoro e capire il loro sogno per agire di conseguenza.
Il punto più difficile da far
capire a tutta la gente era sul fatto che nessuno venisse pagato, nemmeno lui.
Ma la sua idea era di gran lunga
la più bella ed efficace che avevo mai sentito.
Nonostante l’associazione non
retribuisse economicamente, poteva appoggiare la creazione di progetti
artistici, dei sogni, dei lavori.
Quello che la gente non riusciva
a vedere, era che tutti coloro che si disponevano come volontari, avrebbero
ottenuto uno sviluppo del proprio lavoro artistico ed ovviamente un riscontro
economico per la propria arte. (Questo accadde anche a me, negli anni
successivi.)
Sembrava fantastico, tutti
venivano aiutati, sia i bambini, sia gli artisti e per me, che avevo difficoltà
nel produrre uno spettacolo o qualsiasi altra cosa, ero salva!
Se non fossi follemente
innamorata, sarei stata anche felice.
Quasi nessuno capì fino in fondo la proposta dell’associazione,
però in una unica cosa la maggioranza delle donne della città erano d’accordo:
tutte erano invaghite o affascinate da lui.
Non provavo gelosia, era ovvio che tutte vedessero quello che avevo visto io, e non poteva essere altrimenti.
Non provavo gelosia, era ovvio che tutte vedessero quello che avevo visto io, e non poteva essere altrimenti.
Per tutta la città giravano voci
sull’arrivo ”dell’affascinante uomo dai capelli argentati”.
Un’artigiana mi ha confessato di
averci “provato” con lui, ma capì da subito che era impegnato in una relazione
sentimentale, in Italia.
Un’altra voce diceva di un bacio
che una ragazza è riuscita a strappargli, ma il più strano dei racconti era sul
suo ipotetico fidanzamento con una donna della città, nove anni più anziana di
lui.
La sua amica, che lo ospitava nella sua casa, in un momento che ci trovammo sole, volle provocarmi affermando che se lui non se ne fosse andato entro un mese, sarebbe nata una guerra civile tra le donne della città.
La sua amica, che lo ospitava nella sua casa, in un momento che ci trovammo sole, volle provocarmi affermando che se lui non se ne fosse andato entro un mese, sarebbe nata una guerra civile tra le donne della città.
Che umiliazione. Era così
evidente che ero anch’io tanto innamorata?
Tutte queste voci non mi
turbavano più della sua presenza, ma cercavo di contenermi.
In relazione al lavoro,
lentamente cambiai.
Infatti la motivazione non era
più solo quella di veder sbocciare il suo sorriso (era anche quella), ma divenni presto decisamente felice di
partecipare a quell’associazione.
Il suo sguardo sulle cose, così
straniero e privo di abitudini, mi faceva guardare e scoprire la mia propria
città, che credevo di conoscere già.
Ignoravo la solitudine degli
orfanotrofi e gli effetti che un semplice abbraccio può suscitare in un bimbo,
abbandonato.
Qualcosa di bello stava nascendo
nella confusione della mia vita!
Se almeno potessi far conto sulla
mia ragione… ma per la maggior parte del tempo, il mio cervello era come spento
e galleggiavo nel “quasi dolore” degli innamorati.
Il suo rapporto con me era molto
delicato e distaccato.
Quello che notavo di più, era il
suo senso protettivo, aveva una voglia immensa di aiutarmi.
Forse gli facevo un pò di pena,
cosi buffa e priva di senso com’ero.
Qualche volta mi guardava
stupefatto, come chi vede una giraffa per la prima volta, ed ero sicura che non
corrispondesse ai miei sentimenti.
Ci vedevamo spesso, per le visite
agli orfanotrofi e per altre questioni che riguardavano le attività da
svolgere.
Lui aveva pochissimo tempo
perché, presto, sarebbe dovuto tornare in Italia, ed era sempre in giro, anche
con tanta altra gente.
Ogni volta che mi capitava la sua
compagnia, l’assaggiavo in ogni suo secondo, più a fondo che potevo, perchè lui
era un uomo provvisorio.
Un giorno, stanca di tenermi
tutto dentro, tirai fuori i miei scarponi da clown, rinchiusi da tanto tempo
nell’armadio e lo invitai a vedere il mio spettacolo.
Sarebbe stata l’opportunità per
dichiarargli tutto quel mio sentimento trattenuto senza che lui se ne fosse
accorto.
I clown possono dire le più dure
verità, senza dover spiegare nulla, dopo.
Prima lo invitai allo spettacolo
e dopo mi misi a creare, in fretta e furia, la serata, che ancora non esisteva
affatto.
Corsi da una scuola pubblica,
parlai alla sua Preside e, come sa fare Arlecchino, inventai un mucchio di
storie, riuscendo a convincerla di realizzare uno spettacolo.
Capita spesso che, prima di ogni
entrata in scena, il coraggio se ne vada per conto suo ed il corpo si metta a
tremare, ma in quel giorno era davvero peggio: non riuscivo nemmeno a
truccarmi.
Avevo spostato un’intera Scuola,
coinvolto moltissima gente, creato uno show-clown, tutto per una singola
persona.
Sfiorare il solo pensiero che lui
non fosse venuto, mi faceva svenire.
Ero pronta, dietro le quinte, e
sentivo lo schiamazzo del pubblico.
Arrivavano numerosi, ma questo
non mi interessava.
Non riuscivo ancora ad entrare in
scena perchè non sentivo più le mie gambe.
Ad un tratto lo vidi, era qui!
Stava seduto proprio di fronte al
palcoscenico, con la sua solita eleganza.
Senza pensare, mi buttai in scena come fosse fra le sue
braccia.
Quello che accadde, era qualcosa
di anteriore al Teatro: ero un Clown di Neanderthal!
All’improviso la diga che
conteneva il mare dentro si ruppe riversandosi sopra il malcapitato pubblico.
Per me c’era solo lui, ma evitavo
di guardarlo per non morire.
La scena finale, era una lotta di
pugili.
Senza nessun ritegno mi gettai
moltissime volte a terra, come fossi fatta di gomma.
Vedevo la faccia di sgomento del
pubblico, le respirazioni sospese, ma non potevo farne a meno.
Lì mi stavo dichiarando
veramente: sono caduta nell’Amore, “I’m fall in love”.
E’ stato un successo, perchè
l’energia era fortissima e reale.
Ci sono stati tanti applausi
sentiti e tanta gioia condivisa.
Dopo lo spettacolo mi accorsi che
avevo entrambe le ginocchia gonfie e con lividi, ma non sentivo nessun dolore.
Forse perché ero felice e
finalmente non avevo più un segreto.
Da quel giorno, lui cambiò.
Avrà forse capito?
Non lo so.
Ma ero più tranquilla, come uno che
si è vendicato.
Non mi ricordo più l’ordine degli
eventi successivi, ma poco dopo, in un bar, lui mi baciò.
Katia
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