INFORMAZIONI SU QUESTO LIBRO-BLOG

Questa storia narra di dieci anni vissuti da Katia e da Giuliano.
Il racconto è un "binario", costruito a "doppi capitoli", scritti individualmente dai due autori.
Ogni anno raccontato, dal 2003 al 2013, racchiude cinque capitoli, al termine dei quali,
si conclude un paragrafo e sono pubblicate delle immagini inerenti gli stessi capitoli.
Il libro, nel suo complesso, avrà pertanto 10 paragrafi, composti da 5 doppi capitoli ciascuno.
La pubblicazione di ogni nuovo capitolo avviene senza un tempo determinato, essendo attualmente in fase di creazione.

p.s.: non possiamo essere responsabili della traduzione tramite google che, purtroppo, risulta NON essere completamente compatibile con il testo originale in lingua italiana.

contatto:emaildiecianni@gmail.com
Grazie per seguirci.
Katia & Giuliano

domenica 24 novembre 2013

Capitolo 3: Insieme


Capitolo 3: Insieme


La possibilità che potesse succedere qualcosa di davvero incredibile, ad Atibaia, era tanto remota quanto un’alluvione d’acqua nel deserto!
Oppure, ero soltanto io che, immersa nel dolore, non ero stata capace di vedere lontano.
Ed ecco che quell’uomo fantastico girava per la mia piccola città!
Avevo un appuntamento con lui, nella stessa piazza dove c’eravamo conosciuti e per lui non sarebbe stato difficile trovarla, dato che era l’unica.
Voleva parlarmi sull’associazione di volontariato della quale era il responsabile e dei progetti da svolgere in Brasile.
Su questo argomento era molto chiaro che lui ci mettesse il cuore, l’anima, il corpo e tutto il resto. Sopratutto era questo il motivo del suo viaggio, ed era per questo che stava lì, nella nostra povera e piccola città, e non per un miracolo, come credeva il mio cuore.
Comunque sia quest’associazione era molto importante per lui e, per veder sbocciare il suo sorriso, ero disposta a tutto.
Volevo essere d’aiuto in quest’impresa, ero pronta come un soldato che si presenta alle armi.
Se mi avesse dato un cucchiaio rotto e mi avesse mandato a svuotare un fiume, andavo.
Ma avevo paura di quello che provavo dentro.
Sarei stata capace di controllarmi?
Di non arrossire, sudare e puzzare ed essere ragionevole?
Allora, prima del suo arrivo, entrai in Chiesa.
Volevo pregare per tutte le Entità magiche, ai Santi, agli Dei di tutte le religioni, (dato che per dominare un mare dentro, un solo Santo non fa il miracolo, c’è bisogno di numerose forze messe insieme).
Inginocchiata, pregavo.
Per prima cosa ho ringraziato per l’avvenimento straordinario e poi chiesi ai Santi di farmi diventare una persona in uno stato normale e con un cervello funzionante.
Almeno un poco pare che abbia funzionato, perché non svenni al suo arrivo e riuscii ad ascoltarlo e anche dire qualcosa che avesse un senso.

Abbiamo cominciato da subito a lavorare insieme.
Mi chiese di disegnare il volantino ed il marchio dell’associazione.
Era strano il suo senso assoluto di organizzazione, qualcosa a me completamente sconosciuto. Riusciva a pianificare ogni progetto e a dargli un margine, un contenitore, una vita propria, con un inizio un mezzo e una fine.
Aveva chiaro che tutte le persone erano connesse, come da un filo invisibile, e che un singolo cambiamento era capace di provocare un centinaio di successive trasformazioni.
Non aveva pretese faraoniche, diceva che se fossimo riusciti ad aiutare un unico bambino, il nostro compito era raggiunto.
Inoltre era estremamente gentile e generoso con chiunque si avvicinasse all’associazione, voleva conoscere il loro lavoro e capire il loro sogno per agire di conseguenza.
Il punto più difficile da far capire a tutta la gente era sul fatto che nessuno venisse pagato, nemmeno lui.
Ma la sua idea era di gran lunga la più bella ed efficace che avevo mai sentito.
Nonostante l’associazione non retribuisse economicamente, poteva appoggiare la creazione di progetti artistici, dei sogni, dei lavori.
Quello che la gente non riusciva a vedere, era che tutti coloro che si disponevano come volontari, avrebbero ottenuto uno sviluppo del proprio lavoro artistico ed ovviamente un riscontro economico per la propria arte. (Questo accadde anche a me, negli anni successivi.)
Sembrava fantastico, tutti venivano aiutati, sia i bambini, sia gli artisti e per me, che avevo difficoltà nel produrre uno spettacolo o qualsiasi altra cosa, ero salva!
Se non fossi follemente innamorata, sarei stata anche felice.
Quasi nessuno capì fino in fondo la proposta dell’associazione, però in una unica cosa la maggioranza delle donne della città erano d’accordo: tutte erano invaghite o affascinate da lui.
Non provavo gelosia, era ovvio che tutte vedessero quello che avevo visto io, e non poteva essere altrimenti.
Per tutta la città giravano voci sull’arrivo ”dell’affascinante uomo dai capelli argentati”.
Un’artigiana mi ha confessato di averci “provato” con lui, ma capì da subito che era impegnato in una relazione sentimentale, in Italia.
Un’altra voce diceva di un bacio che una ragazza è riuscita a strappargli, ma il più strano dei racconti era sul suo ipotetico fidanzamento con una donna della città, nove anni più anziana di lui.
La sua amica, che lo ospitava nella sua casa, in un momento che ci trovammo sole, volle provocarmi affermando che se lui non se ne fosse andato entro un mese, sarebbe nata una guerra civile tra le donne della città.

Che umiliazione. Era così evidente che ero anch’io tanto innamorata?
Tutte queste voci non mi turbavano più della sua presenza, ma cercavo di contenermi.
In relazione al lavoro, lentamente cambiai.
Infatti la motivazione non era più solo quella di veder sbocciare il suo sorriso (era anche quella), ma divenni presto decisamente felice di partecipare a quell’associazione.
Il suo sguardo sulle cose, così straniero e privo di abitudini, mi faceva guardare e scoprire la mia propria città, che credevo di conoscere già.
Ignoravo la solitudine degli orfanotrofi e gli effetti che un semplice abbraccio può suscitare in un bimbo, abbandonato.
Qualcosa di bello stava nascendo nella confusione della mia vita!
Se almeno potessi far conto sulla mia ragione… ma per la maggior parte del tempo, il mio cervello era come spento e galleggiavo nel “quasi dolore” degli innamorati.
Il suo rapporto con me era molto delicato e distaccato.
Quello che notavo di più, era il suo senso protettivo, aveva una voglia immensa di aiutarmi.
Forse gli facevo un pò di pena, cosi buffa e priva di senso com’ero.
Qualche volta mi guardava stupefatto, come chi vede una giraffa per la prima volta, ed ero sicura che non corrispondesse ai miei sentimenti.
Ci vedevamo spesso, per le visite agli orfanotrofi e per altre questioni che riguardavano le attività da svolgere.
Lui aveva pochissimo tempo perché, presto, sarebbe dovuto tornare in Italia, ed era sempre in giro, anche con tanta altra gente.
Ogni volta che mi capitava la sua compagnia, l’assaggiavo in ogni suo secondo, più a fondo che potevo, perchè lui era un uomo provvisorio.

Un giorno, stanca di tenermi tutto dentro, tirai fuori i miei scarponi da clown, rinchiusi da tanto tempo nell’armadio e lo invitai a vedere il mio spettacolo.
Sarebbe stata l’opportunità per dichiarargli tutto quel mio sentimento trattenuto senza che lui se ne fosse accorto.
I clown possono dire le più dure verità, senza dover spiegare nulla, dopo.
Prima lo invitai allo spettacolo e dopo mi misi a creare, in fretta e furia, la serata, che ancora non esisteva affatto.
Corsi da una scuola pubblica, parlai alla sua Preside e, come sa fare Arlecchino, inventai un mucchio di storie, riuscendo a convincerla di realizzare uno spettacolo.
Capita spesso che, prima di ogni entrata in scena, il coraggio se ne vada per conto suo ed il corpo si metta a tremare, ma in quel giorno era davvero peggio: non riuscivo nemmeno a truccarmi.
Avevo spostato un’intera Scuola, coinvolto moltissima gente, creato uno show-clown, tutto per una singola persona.
Sfiorare il solo pensiero che lui non fosse venuto, mi faceva svenire.
Ero pronta, dietro le quinte, e sentivo lo schiamazzo del pubblico.
Arrivavano numerosi, ma questo non mi interessava.
Non riuscivo ancora ad entrare in scena perchè non sentivo più le mie gambe.
Ad un tratto lo vidi, era qui!
Stava seduto proprio di fronte al palcoscenico, con la sua solita eleganza.
Senza pensare, mi buttai in scena come fosse fra le sue braccia.
Quello che accadde, era qualcosa di anteriore al Teatro: ero un Clown di Neanderthal!
All’improviso la diga che conteneva il mare dentro si ruppe riversandosi sopra il malcapitato pubblico.
Per me c’era solo lui, ma evitavo di guardarlo per non morire.
La scena finale, era una lotta di pugili.
Senza nessun ritegno mi gettai moltissime volte a terra, come fossi fatta di gomma.
Vedevo la faccia di sgomento del pubblico, le respirazioni sospese, ma non potevo farne a meno.
Lì mi stavo dichiarando veramente: sono caduta nell’Amore, “I’m fall in love”.
E’ stato un successo, perchè l’energia era fortissima e reale.
Ci sono stati tanti applausi sentiti e tanta gioia condivisa.

Dopo lo spettacolo mi accorsi che avevo entrambe le ginocchia gonfie e con lividi, ma non sentivo nessun dolore.
Forse perché ero felice e finalmente non avevo più un segreto.
Da quel giorno, lui cambiò.
Avrà forse capito?
Non lo so.
Ma ero più tranquilla, come uno che si è vendicato.
Non mi ricordo più l’ordine degli eventi successivi, ma poco dopo, in un bar, lui mi baciò.


 Katia

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