Capitolo 4: Addio
Un bacio.
Anche oggi, dieci anni dopo, solo
a ricordarmi di questo bacio, sono felice di essere al Mondo.
Basta veramente poco per
annullare tutte le delusioni, ingiustizie e frustrazioni naturali della Vita.
Basta poco, per mescolare alla tristezza un poco d’allegria.
E’facile, non sono necessarie
grandi imprese, molto meno tanti soldi, è gratuito, basta essere attenti.
Ricordare di osservare un ragno che tesse la sua
ragnatela, un tramonto dopo la pioggia, un bambino che impara a camminare,
oppure il ricordo di quel secondo prima di un bacio d’amore.
Un secondo in cui il tempo si dilata in una durata
indefinita, come un regalo dell’Universo, apposta per poter contemplare con
calma il rovesciare degli oceani, il momento preciso nel quale si entra nella
Vita di un’altra persona.
In Brasile si dice:“Quem esta
na chuva è para se molhar”(Chi sta sotto la pioggia è perché si bagni).
Anche se sono abbastanza codarda,
posso affermare che alla pioggia della Vita non mi sono mai negata e sono di
certo le cose straordinarie, come quel bacio, a sostenermi per i prossimi 50
anni.
E così, dopo questo bacio, niente
più mi fece paura, come se avessi un potere soprannaturale. Affrontavo ogni
cosa a muso duro, anche ridendo e danzando, come colpita da una follia
provvisoria.
Il nostro groviglio d’Anime, il
mescolare delle nostre Vite, era mantenuto in segreto, ed erano poche persone a
saperlo, perché questa relazione poteva creare malintesi e provocare gravi
conseguenze per l’associazione, ostacolando gli sviluppi dei progetti sociali,
ai quali lui teneva tanto.
Ed anche perché non c’era nessuna
relazione di fatto.
Eravamo soltanto meravigliati uno
d’altro.
Conoscevo molto bene la gente
della mia città, non reggevano la bellezza e un’usanza comune era quella di
maledire qualsiasi individuo che vivesse un’allegria o un atto d’amore, finché
questa non si trasformasse
nuovamente in una laconica tristezza.
E, forse per questo pericolo latente, riuscii a tacere
facendo un grande sforzo per sembrare una persona normale, una normalissima
compagna di lavoro, seria professionista d’arte, che avrebbe portato avanti
l’associazione anche dopo la partenza del suo creatore.
Insomma una persona credibile, anche se ormai partita di
cervello e altrove con l’anima.
Ma dopo quel bacio, che altro
importava?
Riuscivo perfino a contenere il
sudore e il tremore quando dovevo pronunciare il suo nome in pubblico.
Riuscivo fare delle cose che mai
avrei potuto immaginare.
Quest’uomo meraviglioso mi aveva
dato una chiave che apriva tutte le porte da me sconosciute, era uno spalancare
di possibilità, a non finire.
Invece sentivo che lui aveva
paura, cercando sottilmente, in ogni modo, di allontanarmi.
Mi aveva già detto del suo cuore
impegnato, della relazione che aveva in Italia e nonostante non avesse
approfondito l’argomento, era un uomo tanto trasparente che non riusciva a
nascondere i propri sinceri e profondi sentimenti per la sua compagna.
Ma niente di questo impedì che
continuassi ad invadere la sua Vita.
Avevo perso ogni ritegno, perché
avevo il tempo contro di me.
Sapere che mancava poco tempo
alla sua partenza fece si che le giornate fossero spese in azione, invece che
prigioniere di timori o pensieri.
Che cosa potesse accadere, era
una domanda senza senso, perché il futuro non era previsto.
Avevo pochissimo tempo per
osservarlo a muoversi contro il sole e a contemplare il suo sorriso.
Forse ero troppo egoista.
Ma chi è ragionevole, quando è
delirante?
Comunque, lo vedevo proprio in
difficoltà.
Un giorno mi disse che se
avessimo continuato a vederci così spesso, avremmo rischiato dei guai.
Ero impressionata dai suoi occhi,
fuori dalle orbite, così cercai di calmarlo.
Quando mi lasciò a casa, andai
subito a cercare il significato della parola “guai”, nel dizionario
portoghese-italiano, ma non c’era.
Si vede che avevo un’edizione
economica.
Allora decisi di cambiare la
parola “guai” con ‘gaio” che, anche in portoghese, significa “allegro”.
E con questo nuovo senso alla
parola, mi tranquillizzai.
Ne feci di tutti i colori per
restare vicino a lui durante la sua permanenza, ma non ho potuto impedire
l’arrivo del giorno di sua partenza.
Non ho potuto dire alla Terra:
“Fermati un po’! Rallenta il
tuo girare!”
Ci ho provato, perlomeno.
Un’abitudine dei clowns è credere
di poter prendere la luna con le mani.
Nulla.
Per questo, non funzionò nessuna
strategia clownesca: l’unica era mangiare tanta cioccolata.
Quel giorno arrivò, proprio come
arrivano i giorni.
Era giunta l’ora dell’addio.
Lui era felice, perché aveva
trovato in me una compagna, un volontario capace di curare le attività
dell’associazione ad Atibaia, anche durante la sua assenza.
Era come se il suo compito fosse
eseguito, come se quel cerchio si fosse chiuso.
Sembrava contemplare l’immenso
albero che era nato dopo la sua semina.
Aveva un misto d’allegria,
sollievo e gratitudine.
Mi offrì un ghiacciolo al limone,
che sembrava veramente un iceberg, perché non finiva più. Camminavamo accanto.
Cercava di convincermi che
saremmo stati grandi… amici e che il nostro era comunque un profondo legame
d’amore.
Per un attimo, pensai che la
Vita, ci avesse messo ai margini opposti di un fiume che non si poteva
attraversare.
Mentre mi parlava, lui era già
andato via, nell’altro Mondo, dall’altra parte del fiume.
Era così diverso e lontano.
Stavo per piangere, ma non so il
perché, di colpo mi rallegrai.
Un sentimento improvviso, mi
disse che lo avrei rivisto presto, contrariamente ad ogni previsione.
Non so se lui lo abbia percepito,
ma divenne più dolce e, quando si congedò da me, disse una frase priva della
sua solita coerenza:
“Non è un addio, ma un
arrivederci”.
Con questa, lui se ne andò via, a
passi decisi.
Io rimasi a guardarlo, ma non si
voltò, nemmeno una’unica volta, fino a scomparire del tutto.
Corsi a casa e non piansi, ma le
strade erano tornate a essere semplici strade, gli alberi semplici alberi e
tutta la città era come si fosse spenta la luce.
Mi svegliai l’indomani con la
sensazione che niente era mai accaduto.
Non avevo mai conosciuto quell’uomo
e avevo sognato tutto.
Ma due secondi dopo, tornai in
me, ero innamorata di lui e per questo divenni colma di creatività.
Decisi di cominciare a dipingere:
un dipinto al giorno su un piccolo quadrato di tessuto.
Tutti i quadrati li avrei cuciti
assieme.
Una striscia per ogni settimana e
poi quattro strisce che cucite tra loro, compongono un mese.
Un grande patchwork d’attesa.
Non mi importava se questa
“coperta” raggiungesse tanti metri; ero decisa di continuare a cucirla, fino a
che non sarebbe arrivato il giorno che, finalmente, non lo avrei rincontrato.
Ero una Penelope, che aspettava
un’Ulisse, che non era affatto suo.
Katia
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.