INFORMAZIONI SU QUESTO LIBRO-BLOG

Questa storia narra di dieci anni vissuti da Katia e da Giuliano.
Il racconto è un "binario", costruito a "doppi capitoli", scritti individualmente dai due autori.
Ogni anno raccontato, dal 2003 al 2013, racchiude cinque capitoli, al termine dei quali,
si conclude un paragrafo e sono pubblicate delle immagini inerenti gli stessi capitoli.
Il libro, nel suo complesso, avrà pertanto 10 paragrafi, composti da 5 doppi capitoli ciascuno.
La pubblicazione di ogni nuovo capitolo avviene senza un tempo determinato, essendo attualmente in fase di creazione.

p.s.: non possiamo essere responsabili della traduzione tramite google che, purtroppo, risulta NON essere completamente compatibile con il testo originale in lingua italiana.

contatto:emaildiecianni@gmail.com
Grazie per seguirci.
Katia & Giuliano

domenica 1 dicembre 2013

Capitolo 4: Addio


Capitolo 4: Addio

Un bacio.
Anche oggi, dieci anni dopo, solo a ricordarmi di questo bacio, sono felice di essere al Mondo.
Basta veramente poco per annullare tutte le delusioni, ingiustizie e frustrazioni naturali della Vita. Basta poco, per mescolare alla tristezza un poco d’allegria.
E’facile, non sono necessarie grandi imprese, molto meno tanti soldi, è gratuito, basta essere attenti.

Ricordare di osservare un ragno che tesse la sua ragnatela, un tramonto dopo la pioggia, un bambino che impara a camminare, oppure il ricordo di quel secondo prima di un bacio d’amore.
Un secondo in cui il tempo si dilata in una durata indefinita, come un regalo dell’Universo, apposta per poter contemplare con calma il rovesciare degli oceani, il momento preciso nel quale si entra nella Vita di un’altra persona.
In Brasile si dice:“Quem esta na chuva è para se molhar”(Chi sta sotto la pioggia è perché si bagni).
Anche se sono abbastanza codarda, posso affermare che alla pioggia della Vita non mi sono mai negata e sono di certo le cose straordinarie, come quel bacio, a sostenermi per i prossimi 50 anni.
E così, dopo questo bacio, niente più mi fece paura, come se avessi un potere soprannaturale. Affrontavo ogni cosa a muso duro, anche ridendo e danzando, come colpita da una follia provvisoria.
Il nostro groviglio d’Anime, il mescolare delle nostre Vite, era mantenuto in segreto, ed erano poche persone a saperlo, perché questa relazione poteva creare malintesi e provocare gravi conseguenze per l’associazione, ostacolando gli sviluppi dei progetti sociali, ai quali lui teneva tanto.
Ed anche perché non c’era nessuna relazione di fatto.
Eravamo soltanto meravigliati uno d’altro.

Conoscevo molto bene la gente della mia città, non reggevano la bellezza e un’usanza comune era quella di maledire qualsiasi individuo che vivesse un’allegria o un atto d’amore, finché questa non si  trasformasse nuovamente in una laconica tristezza.
E, forse per questo pericolo latente, riuscii a tacere facendo un grande sforzo per sembrare una persona normale, una normalissima compagna di lavoro, seria professionista d’arte, che avrebbe portato avanti l’associazione anche dopo la partenza del suo creatore.
Insomma una persona credibile, anche se ormai partita di cervello e altrove con l’anima.
Ma dopo quel bacio, che altro importava?
Riuscivo perfino a contenere il sudore e il tremore quando dovevo pronunciare il suo nome in pubblico.
Riuscivo fare delle cose che mai avrei potuto immaginare.
Quest’uomo meraviglioso mi aveva dato una chiave che apriva tutte le porte da me sconosciute, era uno spalancare di possibilità, a non finire.

Invece sentivo che lui aveva paura, cercando sottilmente, in ogni modo, di allontanarmi.
Mi aveva già detto del suo cuore impegnato, della relazione che aveva in Italia e nonostante non avesse approfondito l’argomento, era un uomo tanto trasparente che non riusciva a nascondere i propri sinceri e profondi sentimenti per la sua compagna.
Ma niente di questo impedì che continuassi ad invadere la sua Vita.
Avevo perso ogni ritegno, perché avevo il tempo contro di me.
Sapere che mancava poco tempo alla sua partenza fece si che le giornate fossero spese in azione, invece che prigioniere di timori o pensieri.
Che cosa potesse accadere, era una domanda senza senso, perché il futuro non era previsto.
Avevo pochissimo tempo per osservarlo a muoversi contro il sole e a contemplare il suo sorriso.
Forse ero troppo egoista.
Ma chi è ragionevole, quando è delirante?
Comunque, lo vedevo proprio in difficoltà.
Un giorno mi disse che se avessimo continuato a vederci così spesso, avremmo rischiato dei guai.
Ero impressionata dai suoi occhi, fuori dalle orbite, così cercai di calmarlo.
Quando mi lasciò a casa, andai subito a cercare il significato della parola “guai”, nel dizionario portoghese-italiano, ma non c’era.
Si vede che avevo un’edizione economica.
Allora decisi di cambiare la parola “guai” con ‘gaio” che, anche in portoghese, significa “allegro”.
E con questo nuovo senso alla parola, mi tranquillizzai.

Ne feci di tutti i colori per restare vicino a lui durante la sua permanenza, ma non ho potuto impedire l’arrivo del giorno di sua partenza.
Non ho potuto dire alla Terra:
“Fermati un po’! Rallenta il tuo girare!”
Ci ho provato, perlomeno.
Un’abitudine dei clowns è credere di poter prendere la luna con le mani.
Nulla.
Per questo, non funzionò nessuna strategia clownesca: l’unica era mangiare tanta cioccolata.
Quel giorno arrivò, proprio come arrivano i giorni.
Era giunta l’ora dell’addio.

Lui era felice, perché aveva trovato in me una compagna, un volontario capace di curare le attività dell’associazione ad Atibaia, anche durante la sua assenza.
Era come se il suo compito fosse eseguito, come se quel cerchio si fosse chiuso.
Sembrava contemplare l’immenso albero che era nato dopo la sua semina.
Aveva un misto d’allegria, sollievo e gratitudine.
Mi offrì un ghiacciolo al limone, che sembrava veramente un iceberg, perché non finiva più. Camminavamo accanto.
Cercava di convincermi che saremmo stati grandi… amici e che il nostro era comunque un profondo legame d’amore.
Per un attimo, pensai che la Vita, ci avesse messo ai margini opposti di un fiume che non si poteva attraversare.
Mentre mi parlava, lui era già andato via, nell’altro Mondo, dall’altra parte del fiume.
Era così diverso e lontano.
Stavo per piangere, ma non so il perché, di colpo mi rallegrai.
Un sentimento improvviso, mi disse che lo avrei rivisto presto, contrariamente ad ogni previsione.
Non so se lui lo abbia percepito, ma divenne più dolce e, quando si congedò da me, disse una frase priva della sua solita coerenza:
“Non è un addio, ma un arrivederci”.

Con questa, lui se ne andò via, a passi decisi.
Io rimasi a guardarlo, ma non si voltò, nemmeno una’unica volta, fino a scomparire del tutto.
Corsi a casa e non piansi, ma le strade erano tornate a essere semplici strade, gli alberi semplici alberi e tutta la città era come si fosse spenta la luce.
Mi svegliai l’indomani con la sensazione che niente era mai accaduto.
Non avevo mai conosciuto quell’uomo e avevo sognato tutto.
Ma due secondi dopo, tornai in me, ero innamorata di lui e per questo divenni colma di creatività.
Decisi di cominciare a dipingere: un dipinto al giorno su un piccolo quadrato di tessuto.
Tutti i quadrati li avrei cuciti assieme.
Una striscia per ogni settimana e poi quattro strisce che cucite tra loro, compongono un  mese.
Un grande patchwork d’attesa.
Non mi importava se questa “coperta” raggiungesse tanti metri; ero decisa di continuare a cucirla, fino a che non sarebbe arrivato il giorno che, finalmente, non lo avrei rincontrato.

Ero una Penelope, che aspettava un’Ulisse, che non era affatto suo.


Katia

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