INFORMAZIONI SU QUESTO LIBRO-BLOG

Questa storia narra di dieci anni vissuti da Katia e da Giuliano.
Il racconto è un "binario", costruito a "doppi capitoli", scritti individualmente dai due autori.
Ogni anno raccontato, dal 2003 al 2013, racchiude cinque capitoli, al termine dei quali,
si conclude un paragrafo e sono pubblicate delle immagini inerenti gli stessi capitoli.
Il libro, nel suo complesso, avrà pertanto 10 paragrafi, composti da 5 doppi capitoli ciascuno.
La pubblicazione di ogni nuovo capitolo avviene senza un tempo determinato, essendo attualmente in fase di creazione.

p.s.: non possiamo essere responsabili della traduzione tramite google che, purtroppo, risulta NON essere completamente compatibile con il testo originale in lingua italiana.

contatto:emaildiecianni@gmail.com
Grazie per seguirci.
Katia & Giuliano

domenica 29 dicembre 2013

Capitolo 7 - Secondo incontro


Capitolo 7 - Secondo incontro

Una volta, quando il Brasile non era ancora il Brasile ed era abitato soltanto da indigeni, in una spiaggia selvaggia, giunse un naufrago portoghese.
Quest’uomo ebbe salva la vita dagli indigeni e allora decise di vivere con loro.
Gli diedero il nome di Caramuru, che significa tuono, perché aveva con sé un’arma di fuoco.
Caramuru si adattò alla vita del villaggio e sposò le due figlie del capo tribù: Paraguaçu e Moema.
Vivevano felici, finché un giorno, apparve all’orizzonte una nave portoghese.
Caramuru allora si trovò a un bivio.
Dicono che lui guardò bene la foresta, l’amaca, le banane e le mogli e che comunque, decise di congedarsi da tutto e da tutti.
Salì da solo, su quella nave per ritornare in Europa, alla sua vecchia Vita, nel suo Vecchio Mondo.
Ma prima che la nave scomparisse all’orizzonte, le due mogli Paraguaçu e Moema, si tuffarono in mare.
Paraguaçu riuscì a raggiungere la nave e andò con Caramuru in Portogallo, dove lo sposò per la seconda volta con un rito Cristiano, ed ebbero dei figli.
Moema annegò nel mare.

Questa storia l’ascoltai centinaia di volte, da bambina.
Non capivo come le due sorelle avessero potuto fare la follia di abbandonare la foresta per andare incontro ad una civiltà assolutamente a loro sconosciuta.
Mai avrei immaginato che anch’io, un giorno, avrei potuto fare la medesima scelta!
Buttarmi in mare e lasciare alla spalle tutto ciò che conoscevo, per inseguire un uomo dell’altro Mondo.
Era esattamente così che mi sentivo rispetto a questo viaggio.
Ma quale sarebbe stato il mio destino?
Quello di Paraguaçu che raggiunse la nave e sciolse il cuore di Caramuru?
O sarei annegata come Moema?
Oggi, posso dire che ho avuto entrambi i destini.
Ma, in quel momento, dovevo credere di essere solo una Paraguaçu, altrimenti non avrei avuto il coraggio di salire su quell’aereo, che mi portava verso l’ignoto.

Avevo il permesso di restare in Italia solo per tre mesi, ma salutai tutti, avvertendoli di non sapere per davvero quando sarei ritornata.
Dentro di me, sapevo che basterebbe un’unico abbraccio d’amore, per farmi strappare il biglietto di ritorno.
Chi salta in mare, dimentica la ragione della terraferma.
E cosi fu.

Imbarcai con la mia valigia, 50 euro e una brigola sul viso, dovuta alla tensione.
Avevo mille timori, ma la Vita fu compassionevole con me e ad ogni preoccupazione mi spostava l’attenzione su un altro argomento.
Appena fui colpita dalla malinconia dell’abbandono di tutto ciò che mi era caro, ecco che arrivò in aiuto lo sciopero dell’aeroporto e mi travolse in quel casino per cinque ore.
E via la malinconia!
Quando l’aereo finalmente partì, tutto si calmò ed ecco che la mente sfiorò il pensiero di avere pochi soldi con me, ma in quell’esatto momento la brigola su viso si infiammò e si gonfiò.
E via la preoccupazione sui soldi!
Adesso il mio dispiacere era non avere un cerotto sulla faccia, proprio quando dovevo incontrare quell’uomo!
Ma la Vita era dalla mia parte, perché non mi permise di preoccuparmi sul mio aspetto fisico, perchè durante il volo, scoprii che mi avevano venduto il biglietto sbagliato!
Non stavo volando verso Genova, in Italia, ma mi stavano portando a Ginevra, in Svizzera!
Spazzate via di colpo tutte le mie preoccupazioni: soldi, brigole e cerotti sulla faccia.
Dovevo arrivare in Italia!
Per fortuna, a causa di quello sciopero, il volo perse la sua coincidenza ed atterrò a Milano.
Una volta scesa, riuscii a riavere la mia valigia, ed ancora una volta la Vita fu davvero gentile con me, perché il solo fatto di essere in Italia, divenne la cosa più bella di ogni cosa, e le paure che volevano saltar fuori, non trovavano nutrimento.
Anche se non capivo nulla, arrivai magicamente alla Stazione Centrale di Milano e riuscii a prendere un treno per Genova.
Ce l’avevo fatta!
Tremavo d’emozione!
Sudavo.
Entrai in una cabina con altre quattro persone, che mi guardarono molto male.
Ero tanto felice che non avvertii il loro disprezzo e li salutai con gioia.
Piano piano mi calmai ed allora mi assalì una nuova preoccupazione.
E se fossi annegata come Moema?
E se fosse stata una dura delusione?
Ma anche qui, la Vita, mi soccorse su questo pensiero inutile.
Arrivò un signore in divisa, chiese il mio biglietto, lo guardò e mi disse che ero sul treno sbagliato!
Così pagai la multa.
Bene, non dovevo mai piu’ preoccuparmi di avere solo 50 euro: adesso ne avevo 20!

Finalmente arrivai a Genova.
Nella Stazione c’era un orologio gigante con numeri romani indecifrabili per me, e non capii che ora fosse.
Meglio, così non mi preoccupai nel caso fossi in ritardo.
Mi affacciai ad un immenso portico e vidi la Città.
Non aveva per niente l’aspetto imperiale di Roma, anzi, sembrava che non avesse alcun aspetto. Come una città invisibile, che si mostra solo quando vuole.
Una città di cristallo, pensai, e allora mi muovevo piano, per non disturbarla.
Mi batteva forte il cuore.
Dovevo aspettare che quell’uomo mi venisse a prendere.
Guardavo intorno e tutto era immenso come in una favola, le porte, l’orologio, le cose.
La gente camminava sicura di sé, come se tutta quella architettura fosse naturale.
Mi sentii subito un pesce fuori d’acqua.
Tutto ciò che una volta mi appariva normale, adesso non lo era più.
I miei vestiti, che poche ore prima erano belli, adesso sembravano disadattati.
Ma anche questi pensieri, sparirono.
La Vita cercava di distogliermi da ogni dolore.
Di colpo, mi mise a piovere e cominciò a fare un freddo che non avevo mai sentito prima.
E con questo, non pensavo più.
Tremavo e per la prima volta, non era per il mal d’amore, ma dovuto ai miei poveri piedi ghiacciati nelle loro scarpe di tessuto.

Lui arrivò e apparve esattamente come la sua Città: misterioso e invisibile.
Lo vedevo e non lo vedevo.
Ma lui vide bene il mio cerotto, chiedendomi se mi fossi ferita durante il viaggio.
Per un attimo non ci siamo riconosciuti, in quel Mondo così lontano e diverso dal luogo dove ci eravamo visti l’ultima volta.
Mi indicò la sua auto e prese la mia valigia buffa e colorata.
Mentre ero in macchina, non riuscivo a vedere bene, né lui, né la Città.
Ma era incantato quel posto?
Che strana stregoneria faceva in modo che le cose si vedevano e non si vedevano?
Ed era pieno di gallerie!
Così eravamo constantemente nascosti e scoperti, alla luce e nel buio.
Lui guidava e si muoveva con disivoltura e invisibilità, come la gente che ho visto nella stazione. Era decisamente diverso, a casa sua.
Ed anch’io ero diversa, a casa sua.
Però ad un tratto, mi sorrise.
Un sorriso che mi fece riconoscerlo.
Mi ricordò della sua Essenza.
Sì era proprio lui!
Gli risposi sorridendogli e avvertii che anche lui, finalmente, mi riconobbe.
Piano piano, anche Genova si fece intravedere.
Magia.
Arrivammo alla sua dimora che, come Genova, era irraggiungibile, però più tetra, buia e triste.
Quando aprii la mia valigia, rovesciai fuori tutti i dipinti e le storie che avevo portato con me, riempiendo quella casa di colori, parole, d’odore delle banane, di amache e della foresta.
Lui si rallegrò.
Mangiammo insieme pasta con broccoli.
Fino ad oggi questo resta il mio piatto preferito, perché mi ricorda il giorno che lui mi permise di entrare nella sua Vita.

Mi sentivo Paraguaçu, avevo raggiunto la nave e sciolto il cuore di quel Caramuru genovese.


Katia

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