INFORMAZIONI SU QUESTO LIBRO-BLOG

Questa storia narra di dieci anni vissuti da Katia e da Giuliano.
Il racconto è un "binario", costruito a "doppi capitoli", scritti individualmente dai due autori.
Ogni anno raccontato, dal 2003 al 2013, racchiude cinque capitoli, al termine dei quali,
si conclude un paragrafo e sono pubblicate delle immagini inerenti gli stessi capitoli.
Il libro, nel suo complesso, avrà pertanto 10 paragrafi, composti da 5 doppi capitoli ciascuno.
La pubblicazione di ogni nuovo capitolo avviene senza un tempo determinato, essendo attualmente in fase di creazione.

p.s.: non possiamo essere responsabili della traduzione tramite google che, purtroppo, risulta NON essere completamente compatibile con il testo originale in lingua italiana.

contatto:emaildiecianni@gmail.com
Grazie per seguirci.
Katia & Giuliano

domenica 19 gennaio 2014

Capitolo 10: Sotto il cielo.


Capitolo 10: Sotto il cielo.

Eravamo ritornati sotto il cielo di Genova.
Ma, come noi due, la città non era più quella della volta precedente.
Si era trasformata completamente.
Vedevo cose che, prima a me, erano invisibili e non si trattava di semplici dettagli che facilmente potevano essermi sfuggiti allo sguardo, come delle minuscole sculture o dipinti nascosti nei vicoli, oppure le corse dei topi nel centro storico.
Ecco che mi apparivano pasticcerie e focaccerie o, addirittura, una chiesa interamente in bianco e nero, dove prima c’era soltanto la nebbia.
Camminare per Genova adesso era un’avventura.
Il gioco di scoprire le cose, prima invisibili.
La città e quell’uomo si stavano svelando sotto i miei occhi.
Ma entrambi, non volevano essere disturbati.
Era un pericoloso e bel momento.
Cosa fanno i clowns quando devono fare silenzio o camminare senza far rumore?
Inciampano, cascano a terra, frantumano bicchieri e combinano un grande fracasso.
E per me, non poteva essere diversamente.

Una volta, tornando dal panificio che adesso avevo il coraggio di affrontare da sola, vidi davanti a me un’immenso cartello azzurro, con la foto di un uomo molto brutto ma sorridente, che indicava una scritta in rosso.

Si leggeva qualcosa come: “Basta con l’ immigrazione clandestina!”.
Senza rendermi conto mi chinai, per poter passare davanti a quel cartello.
Non respirai nemmeno e andai avanti lentamente.
Quando finalmente lo superai, cominciai a correre ma subito mi fermai, perché capii che non era naturale correre in quel Paese e, peggio, correre senza il permesso, senza i documenti, senza chissà cosa…la mia mente aveva creato un grande pasticcio: cominciai a sentirmi una clandestina.
Non avevo mai avvertito nulla del genere prima d’allora e, di conseguenza da quel giorno in avanti, mi trovai soltanto in situazioni che nutrivano quella sensazione.
Ovunque mi girassi vedevo un carabiniere che faceva un controllo di documenti, sentivo brutte notizie alla radio, per televisione, infiniti dibattiti, litigi sugli autobus tra persone di Mondi diversi.
Non mi ero mai accorta della grande quantità di persone giunte da altre parti della Terra che vivevano sotto il cielo di Genova.
Quando potevo, parlavo con loro, volevo sapere della loro storia.
Però nulla mi diede consolazione sul sentirmi disadattata, strana, inferiore e… clandestina.
Quella sensazione si stava sviluppando tanto velocemente che non potevo più farne una ragione.
Oggi, di certo, ci avrei riso sopra.

Noi pagliacci possiamo essere dei disadattati, “strani” e clandestini, quando veniamo costretti al mondo della logica e della ragione: é per questo che facciamo ridere.
Comunque, in quel momento, non sentii più la mia voce interiore e nessun riecheggio della mia anima.
Ero scollegata dalla mia natura più profonda.
Ero come prigionera di un pesante sentimento d’inferiorità e, naturalmente vivere così,  stava diventando come una danza senza ritmo e di fragile equilibrio.
Nemmeno il mio rapporto con quell’uomo fu risparmiato da questa confusione mentale, che io stessa stavo creando.
Lui si accorse di questo, ma non poteva e non sapeva come aiutarmi.
Spinto anche dalle nostre difficoltà relazionali, veniva spesso rapito dalla “Signora del Danubio”.
Mi sentivo inferiore anche a quel “fantasma”, ed é stato proprio per questo mio atteggiamento emotivo che diventai gelosa della loro relazione platonica, al dì sopra di ogni difficoltà, lontana dalla vita quotidiana e dell’impermanenza  delle cose.
Forse in fondo, volevo soltanto essere anch’io, eternamente sorridente, nel prato di Piazza dei Miracoli.
Nonostante tutto questo fosse molto doloroso, non mi permisi mai di desistere dall’amore e dal vivere.
Ormai ero in cammino e in qualche modo trovai il coraggio di continuare ad andare avanti.
Sono sempre stata molto fortunata e la Vita non mi ha mai abbandonato in nessuna occasione.
Quando il mondo fuori, ed i genovesi, mi stavano apparendo troppo ostili, accadde qualcosa di miracoloso.

In una passeggiata sul lungomare, Giuliano ebbe una fantastica idea creativa, che mi commosse.
Ero felicissima per lui.
Dopo aver stimolato e creduto in tutti gli altri artisti che si erano avvicinati all’associazione, compreso me, era finalmente arrivato il suo momento, per creare e comunicare attraverso l’arte.
Aveva sentito un richiamo dal suo profondo, per realizzare il progetto artistico chiamato : 
“Sotto il cielo, Nuvole”.
Ci siamo messi a lavorare per questo immediatamente.
Per diversi mesi, lui incontrò persone di tutte le età, ne fotografò i sorrisi, condivise le loro emozioni e le ascoltò.
Furono tanti italiani di tutte le regioni, genovesi e stranieri, che avevano in comune di essere sotto lo stesso cielo.
Ho visto delle persone veramente arrabbiate e chiuse, che dopo essersi lasciate fotografare, mostravano il suo volto piu’ bello: quello umano.
Con questo mi riconciliai con i genovesi, con la “clandestinità” e cominciai a sentirmi meglio.
Presi nuovamente fiducia, ed ero riuscita ad ottenere lo spazio della Pinacoteca di Atibaia, per la realizzazione di questa Mostra, di questo curioso interscambio di sorrisi.
Quell’arte che era stata capace di guarirmi dalla malattia immaginaria di essere una “clandestina”.
Inoltre avrei potuto realizzare una mostra personale anch’io, una volta ritornata in Brasile.
E quel momento era vicino.

Sentivo d’essere stata completamente trasformata dalla mia permanenza a Genova e, quando pensavo al mio ritorno, avevo la stessa paura dell’ignoto di quando ero partita per l’Italia.

Cominciai a realizzare un’altra “coperta dell’attesa”.
Ogni giorno dipingevo un quadrato, che cucito ad altri sette, formava una settimana e cucito ancora insieme, formava dei mesi…
Mi preparavo per tornare.
Oggi ho imparato ad avere con me, una valigia, dove ho dentro tutto che mi serve dal Brasile.
E’ una valigia magica, che contiene tutti gli alberi di banane, il mare, le danze, il mondo invisibile e onirico delle mie foreste tropicali.
Oggi lo so, che posso vivere ovunque, perché quando ho bisogno di “quel Brasile”, semplicemente apro la mia valigia e mi tuffo dentro.

Ma in quel momento, non avevo ancora questo ingegno e pur sapendo di essere stata sicuramente molto felice a Genova, volevo assolutamente tornare a casa mia.

Katia




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