Capitolo 10: Sotto il cielo.
Eravamo ritornati sotto il cielo di Genova.
Ma, come noi due, la città non era più quella della volta
precedente.
Si era trasformata completamente.
Vedevo cose che, prima a me, erano invisibili e non si
trattava di semplici dettagli che facilmente potevano essermi sfuggiti allo
sguardo, come delle minuscole sculture o dipinti nascosti nei vicoli, oppure le
corse dei topi nel centro storico.
Ecco che mi apparivano pasticcerie e focaccerie o,
addirittura, una chiesa interamente in bianco e nero, dove prima c’era soltanto
la nebbia.
Camminare per Genova adesso era un’avventura.
Il gioco di scoprire le cose, prima invisibili.
La città e quell’uomo si stavano svelando sotto i miei
occhi.
Ma entrambi, non volevano essere disturbati.
Era un pericoloso e bel momento.
Cosa fanno i clowns quando devono fare silenzio o
camminare senza far rumore?
Inciampano, cascano a terra, frantumano bicchieri e combinano un grande
fracasso.
E per me, non poteva essere diversamente.
Una volta, tornando dal panificio che adesso avevo il
coraggio di affrontare da sola, vidi davanti a me un’immenso cartello azzurro,
con la foto di un uomo molto brutto ma sorridente, che indicava una scritta in
rosso.
Si leggeva qualcosa come: “Basta con l’ immigrazione clandestina!”.
Senza rendermi conto mi chinai, per poter passare davanti
a quel cartello.
Non respirai nemmeno e andai avanti lentamente.
Quando finalmente lo superai, cominciai a correre ma
subito mi fermai, perché capii che non era naturale correre in quel Paese e,
peggio, correre senza il permesso, senza i documenti, senza chissà cosa…la mia
mente aveva creato un grande pasticcio: cominciai a sentirmi una clandestina.
Non avevo mai avvertito nulla del genere prima d’allora e,
di conseguenza da quel giorno in avanti, mi trovai soltanto in situazioni che
nutrivano quella sensazione.
Ovunque mi girassi vedevo un carabiniere che faceva un
controllo di documenti, sentivo brutte notizie alla radio, per televisione,
infiniti dibattiti, litigi sugli autobus tra persone di Mondi diversi.
Non mi ero mai accorta della grande quantità di persone
giunte da altre parti della Terra che vivevano sotto il cielo di Genova.
Quando potevo, parlavo con loro, volevo sapere della loro
storia.
Però nulla mi diede consolazione sul sentirmi disadattata,
strana, inferiore e… clandestina.
Quella sensazione si stava sviluppando tanto velocemente
che non potevo più farne una ragione.
Oggi, di certo, ci avrei riso sopra.
Noi pagliacci possiamo essere dei disadattati, “strani” e
clandestini, quando veniamo costretti al mondo della logica e della ragione: é
per questo che facciamo ridere.
Comunque, in quel momento, non sentii più la mia voce
interiore e nessun riecheggio della mia anima.
Ero scollegata dalla mia natura più profonda.
Ero come prigionera di un pesante sentimento d’inferiorità
e, naturalmente vivere così, stava
diventando come una danza senza ritmo e di fragile equilibrio.
Nemmeno il mio rapporto con quell’uomo fu risparmiato da
questa confusione mentale, che io stessa stavo creando.
Lui si accorse di questo, ma non poteva e non sapeva come
aiutarmi.
Spinto anche dalle nostre difficoltà relazionali, veniva
spesso rapito dalla “Signora del Danubio”.
Mi sentivo inferiore anche a quel “fantasma”, ed é stato
proprio per questo mio atteggiamento emotivo che diventai gelosa della loro
relazione platonica, al dì sopra di ogni difficoltà, lontana dalla vita
quotidiana e dell’impermanenza
delle cose.
Forse in fondo, volevo soltanto essere anch’io,
eternamente sorridente, nel prato di Piazza dei Miracoli.
Nonostante tutto questo fosse molto doloroso, non mi
permisi mai di desistere dall’amore e dal vivere.
Ormai ero in cammino e in qualche modo trovai il coraggio
di continuare ad andare avanti.
Sono sempre stata molto fortunata e la Vita non mi ha mai
abbandonato in nessuna occasione.
Quando il mondo fuori, ed i genovesi, mi stavano apparendo
troppo ostili, accadde qualcosa di miracoloso.
In una passeggiata sul lungomare, Giuliano ebbe una
fantastica idea creativa, che mi commosse.
Ero felicissima per lui.
Dopo aver stimolato e creduto in tutti gli altri artisti
che si erano avvicinati all’associazione, compreso me, era finalmente arrivato
il suo momento, per creare e comunicare attraverso l’arte.
Aveva sentito un richiamo dal suo profondo, per realizzare
il progetto artistico chiamato :
“Sotto il cielo, Nuvole”.
Ci siamo messi a lavorare per questo immediatamente.
Per diversi mesi, lui incontrò persone di tutte le età, ne
fotografò i sorrisi, condivise le loro emozioni e le ascoltò.
Furono tanti italiani di tutte le regioni, genovesi e
stranieri, che avevano in comune di essere sotto lo stesso cielo.
Ho visto delle persone veramente arrabbiate e chiuse, che
dopo essersi lasciate fotografare, mostravano il suo volto piu’ bello: quello
umano.
Con questo mi riconciliai con i genovesi, con la
“clandestinità” e cominciai a sentirmi meglio.
Presi nuovamente fiducia, ed ero riuscita ad ottenere lo
spazio della Pinacoteca di Atibaia, per la realizzazione di questa Mostra, di
questo curioso interscambio di sorrisi.
Quell’arte che era stata capace di guarirmi dalla malattia
immaginaria di essere una “clandestina”.
Inoltre avrei potuto realizzare una mostra personale
anch’io, una volta ritornata in Brasile.
E quel momento era vicino.
Sentivo d’essere stata completamente trasformata dalla mia
permanenza a Genova e, quando pensavo al mio ritorno, avevo la stessa paura
dell’ignoto di quando ero partita per l’Italia.
Cominciai a realizzare un’altra “coperta dell’attesa”.
Ogni giorno dipingevo un quadrato, che cucito ad altri
sette, formava una settimana e cucito ancora insieme, formava dei mesi…
Mi preparavo per tornare.
Oggi ho imparato ad avere con me, una valigia, dove ho
dentro tutto che mi serve dal Brasile.
E’ una valigia magica, che contiene tutti gli alberi di
banane, il mare, le danze, il mondo invisibile e onirico delle mie foreste
tropicali.
Oggi lo so, che posso vivere ovunque, perché quando ho
bisogno di “quel Brasile”, semplicemente apro la mia valigia e mi tuffo dentro.
Ma in quel momento, non avevo ancora questo ingegno e pur
sapendo di essere stata sicuramente molto felice a Genova, volevo assolutamente
tornare a casa mia.
Katia
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