INFORMAZIONI SU QUESTO LIBRO-BLOG

Questa storia narra di dieci anni vissuti da Katia e da Giuliano.
Il racconto è un "binario", costruito a "doppi capitoli", scritti individualmente dai due autori.
Ogni anno raccontato, dal 2003 al 2013, racchiude cinque capitoli, al termine dei quali,
si conclude un paragrafo e sono pubblicate delle immagini inerenti gli stessi capitoli.
Il libro, nel suo complesso, avrà pertanto 10 paragrafi, composti da 5 doppi capitoli ciascuno.
La pubblicazione di ogni nuovo capitolo avviene senza un tempo determinato, essendo attualmente in fase di creazione.

p.s.: non possiamo essere responsabili della traduzione tramite google che, purtroppo, risulta NON essere completamente compatibile con il testo originale in lingua italiana.

contatto:emaildiecianni@gmail.com
Grazie per seguirci.
Katia & Giuliano

domenica 5 gennaio 2014

Capitolo 8: In cammino


Capitolo 8: In cammino

Belin, e adesso...?
Questa fu la frase che scrissi in un dipinto che rappresentava una donna con il proprio cuore in mano.
Non c’era nessun’altra parola disponibile per descrivere cosa provavo davanti a quel nuovo Mondo, e questa immagine, la raccontava.
Non capivo assolutamente nulla di quella città, di quella gente, di quello che vedevo, udivo, annusavo e mangiavo.
E non capivo niente, principalmente di quell’uomo.
Non sapevo come muovere il mio corpo in quelle vie, non osavo correre, cosa che per me era prima naturale.
Molte volte bloccavo un gesto a metà, nel dubbio.
Molte volte facevo l’opposto e mi sfuggiva un gesto nel momento sbagliato.
Tutto era in sospeso, come in una favola dove la protagonista attraversa un passaggio segreto e cade in un Mondo fantastico, dove niente funziona come, prima, lei conosceva.
I sentimenti erano così immensi e potenti che non riuscivo a tenerli dentro.
Uscivano in forme di colorati dipinti.
E meno male che quell’uomo mi diede tutto il materiale possibile per dipingere.
E che fortuna che c’era una mostra da fare, perché questo mi dava una direzione, un obiettivo pratico, altrimenti non sarei stata capace di sopravvivere a tanto sentimento.
Credo che anche per lui fosse necessario trovare un sentiero, un margine del fiume, dove aggrapparsi e non lasciarsi trascinare della corrente.
Ci siamo concentrati tutti e due, nella realizzazione della mostra e di altri progetti della darearte, realizzati in Italia.
Tutti i giorni dipingevo e avevo già creato un numero di dipinti uguale a quelli che avevo portato dal Brasile.
Era tutto pronto per l’esposizione.
Mancava un giorno all’inaugurazione della mostra e Giuliano mi portò, in moto, nel centro storico di Genova, per comprarmi un paio di scarpe.
In vita mia, non ero mai salita su una moto o qualcosa di simile.
E mai avevo immaginato di girare su quell’affare, abbracciata ad un uomo così bello.
La città, che era sempre nascosta,  adesso sembrava un serpente che non finiva più, e noi, sopra le sue spalle, volavamo con il vento in faccia.
Ad un tratto si spalancò davanti noi una strada volante, che chiamavano “sopraelevata”, e lui si mise a cantare.
E poi apparve il Porto, con tutti i suoi colori monocromatici.
Sentii un mancamento, poiché certe bellezze, non dovrebbero essere messe tutte insieme, altrimenti c’è il rischio di esserne schiacciati.

Nel centro storico ebbi paura, perché quelle sue vie strette erano infinite e stregate.
Avevo l’impressione che se mi fossi allontanata da quell’uomo, anche per un attimo, non avrei mai più ritrovato il cammino di casa.
Questo mi fece tanta paura, che mi venne l’aria nella pancia.
Nel negozio, mentre la commessa mi parlava delle scarpe, io non pensavo a nulla, tranne che a trattenere la scorreggia.
E poi, dentro di me, tutto era confuso, mi vergognavo di essere arrivata in Italia senza scarpe decenti, mi sentivo a disagio per io essere io, e alla fine scelsi delle scarpe qualsiasi, senza pensare.
Erano le più buffe che avessi mai avuto, e negli anni successivi le usai per miei spettacoli da Clown.

Questa gita in moto fu l’ispirazione per un’ultimo dipinto: io e lui su un cavallo rosso che volavamo su una città incantata.
Durante la Mostra, tutti volevano comprare questo dipinto, forse perché aveva una grande energia, ma fu l’unico quadro che quell’uomo non volle mai vendere.
E fino ad oggi, è con noi.

Il successo della Mostra, ci ha spinto a realizzare nuovi progetti, e questi ne hanno spinto altri ancora. Ormai non ci saremmo più fermati, nonostante le diffidenze e le difficoltà naturali.
Lavoravamo insieme in armonia, perché avevo la follia sufficiente per credere nell’impossibile e lui aveva il senso pratico per fare di quell’impossibile, divenire realtà.
Di questo modo, l’associazione acquisiva visibilità e cresceva.
E crescevamo anche noi.

Piano piano, quell’uomo mi insegnò tante cose: come fare una cornice per un dipinto, come preparare una parete per un murales, come usare un citofono, come prendere un treno, come muoversi in quella città stregata, come affrontare la commessa del mercato, come comprare un’etto di prosciutto… anzi mi fece conoscere i prosciutti.
Mi mostrò i segreti per salutare gli anziani genovesi dallo sguardo minaccioso ed infine mi regalò tutte le sue parole e, presto, cominciai a parlare in italiano in modo comprensibile.
Ovviamente questo non fu difficile perché appena lui pronunciava una parola, questa mi era già entrata nel cuore e migrata al mio cervello.
Però c’era una cosa che lui non poteva insegnarmi.
Come vivere veramente in quel nuovo Mondo?
E come iniziare un rapporto d’amore?
Per fare questo, era impellente un cambiamento.
Ed ero già in trasformazione, anche se non volevo.
Sicuramente, questi cambiamenti mi hanno portato grossi dolori, ma anche tante gioie.
Eravamo entrambi disposti alla trasformazione e, proprio per questo atteggiamento, darearte crebbe velocemente e, a giudicare dai numerosi progetti eseguiti in tutti gli anni successivi, era come se lavorassero insieme un grande numero di persone, mentre in realtà tutto girava intorno a noi due, con la nostra voglia di vivere e di condividere.

Dunque, la mia permanenza in Italia era scaduta e dovevo partire.
Ci guardammo in silenzio.
Vivevamo un momento pieno di creatività e di sviluppo dell’associazione e non avevamo ancora avuto il tempo necessario per volersi separare uno dall’altro.
Restai.
Volevamo portare avanti i nostri progetti e solo dopo, insieme, ritornare sul fronte in Brasile.

Partimmo per un lungo viaggio, diretti verso la Sicilia, per un incontro con un rinomato Ente di assistenza sociale.
Non avevo paura di attraversare l’Italia senza essere in regola, con il permesso di soggiorno scaduto.
Nemmeno ci pensavo, la parola “clandestino” non mi donava.
Preferivo altre parole come: “coraggio di vivere”.

Katia

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