Capitolo 8: In Cammino.
Allestimmo la mostra, a Genova.
Io e lei. Nessun altro ci aiutò.
Nessuno di coloro che sapevano e nemmeno coloro che
potevano.
Le visite, invece, furono soddisfacenti.
Fu un successo nel gradimento e vendemmo alcune opere.
Avevamo raggiunto il nostro obiettivo, presentare
darearte, l’artista e il suo lavoro e sensibilizzare
ad altre realtà.
Conservai per molto tempo le firme ed i commenti dei
visitanti, come un trofeo.
Fu molto stancante per l’impegno, il tempo trascorso nella
sala espositiva e per quello dedicato
a rispondere a domande innocenti,
assistendo alle conseguenti smorfie incredule di coloro
che ne ascoltavano la
risposta.
Credo che succeda ad ogni persona di non essere compreso,
almeno una volta nella vita.
Io e Katia, avevamo (quasi) l’abitudine
all’incomprensione.
L’avevamo vissuta per lungo tempo, ognuno nella propria
vita e ora, con darearte,
si riproponeva prepotente.
Avevamo deciso di non dargli molto peso, anche se questa
portava con sè sempre un dispiacere.
Ma in questa incomprensione non necessariamente è
responsabile chi ascolta.
A volte si può trattare di difficoltà comunicative, o di assenza di sintonia.
Oggi, finalmente, posso dire che si tratta fondamentalmente di una diversa percezione delle cose.
E di questo non ci si può di certo lamentare.
Conclusa questa prima mostra, ottenuti consensi e
aperture, Katia fu invitata ad un’altra esposizione in Genova, una mostra
collettiva di artisti di diverse parti del mondo.
E dopo un altro evento, che promuoveva darearte e i
lavori artistici di Katia, realizzammo insieme, un murales per una piazza di
Genova.
Per Piazza Elah fummo invitati dal Comune di Genova a dipingere su una parete
del parco-giochi pubblico, dove era stata da recente installata anche una fontana,
anch’essa creata da un’artista.
Scegliemmo una parete che era stata vandalizzata con insulti scritti a
bomboletta, per prendere due piccioni con una fava.
Dopo aver lasciato a me la parte di preparazione della
parete, Katia cominciò a creare la storia da riprodurre.
Si trattava della rappresentazione di Atibaia, la sua
città.
Su di una barca, diversi personaggi, di diverse
nazionalità, approdano ad una terra vivace, colorata, con animali e piante, e
due Chiese dove, durante la tradizionale festa in costume chiamata Congada, si
uniscono in una vivace danza la gente ed una coppia di sposi. Il tutto sovrastato da una montagna di
pietra, simbolo della città.
Questa era Atibaia, ed ora era presente anche a Genova,
grazie a Katia.
Non so quanto tempo resistette, quel murales, e se oggi è
ancora integro, ma di certo per almeno tre anni nessuno mai lo imbrattò. Era
come se fosse rispettato anche dai più temibili vandali del quartiere, forse
protetto da quella magia con il quale era stato creato.
Dopo questa donazione a Genova ed omaggio ad Atibaia, ci
dedicammo ad organizzare un’altra esposizione di Katia, di opere create durante
la sua permanenza a Genova.
Questa volta era ospite in uno spazio d’arte e teatrale, nel cuore del centro
storico della città, un centro di
riferimento per la cultura cittadina e in un luogo di richiamo di alto
prestigio.
Questo ci esaltò al punto che dedicammo tutte le nostre
forze per la miglior realizzazione della mostra.
Io stesso mi preoccupai della costruzione delle cornici e
dell’installazione delle opere, all’interno del palazzo duecentesco,
strutturato a più livelli, creando un percorso con le opere di Katia.
Fu un successo ancor maggiore della prima esposizione e
fummo davvero molto contenti del riconoscimento del pubblico, di critica e
dell’attenzione della stampa.
Anche i risultati economici furono importanti e anche
questo ci confermò che eravamo sul cammino giusto.
Fu durante la mostra che ci richiesero di realizzare una meridiana, un orologio solare, per la facciata frontale di una Chiesa in
provincia di Genova, nel Comune di Torrazza.
Il Parroco aveva l'impellente necessità di dare un’immagine
all’ingresso della Chiesa, che una recente ristrutturazione aveva reso
completamente grigio e poco attraente.
Entusiasta, studiai a fondo tre diversi libri su come si
costruisse una meridiana.
Visitammo il posto, facemmo il progetto, montammo le
impalcature, preparammo la parete, creammo lo schema, creammo l’orologio, il
dipinto e in una settimana di lavoro, ecco la meridiana per la chiesa con gli
angeli e la scritta voluta dal Parroco.
Eravamo felici per aver creato un’altra opera insieme e aver costruito
un’orologio che funzionava
“a raggi solari”!
Firmammo con i nostri nomi e con darearte, che per noi, allora, era la nostra pelle.
Oltre questi, facemmo anche lavori finalizzati alla
raccolta fondi, per un’economia che potesse dare forza ai progetti dedicati ai
bambini, in Brasile, dove saremmo tornati non appena possibile.
Ma prima di ritornare in Brasile, Katia aveva un sogno da realizzare:
incontrare la gente del Circo, coloro che le avevano fatto conoscere il suo
Clown e per i quali nutriva una profonda riconoscenza.
Allora, tra un progetto darearte e l’altro, tra un’impegno
e l’altro, decisi di sostenere questo piccolo sogno che, pensavo, le avrebbe
risolto molte questioni rimaste in sospeso.
Partimmo con la mia vecchia auto, una piccola tenda da campeggio e
pochissimi soldi.
Giuliano
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