Capitolo 13: Sotto il cielo, Nuvole
Ad Atibaia le classi sociali
erano nettamente divise, come fossero due margini di un fiume e, questi
margini, erano due rette paralelle.
E come spiega la matematica: le
rette paralelle non si incontrano mai, soltanto all’infinito, e questo infinito
potrebbe chiamarsi arte.
Credo che nelle due mostre d’arte
che abbiamo realizzato nella Pinacoteca di Atibaia, siamo riusciti, fosse anche
per breve tempo, a far scomparire il confine che divideva le persone.
A Genova avevo visto,
oggettivamente, la trasformazione immediata della gente e dalla realtà attorno
a loro, soltanto per il fatto di lasciarsi fotografare da Giuliano.
Ero trasformata anch’io, cambiando la paura, che avevo allora, per i genovesi.
Ero trasformata anch’io, cambiando la paura, che avevo allora, per i genovesi.
Capii che la comprensione della diversità non parte del
“tollerare”, accettare o idealizzare l’altro, ma comincia sempre con un sguardo
su di sé, con la nostra capacità di ascoltarsi e di connettersi.
Quello che proponeva il progetto
: “Sotto il cielo: Nuvole” aveva questa
profondità e qualcos’altro di invisibile che non riuscii mai a capire fino in
fondo; semplicemente accadeva.
Realizzarlo a Genova o ad Atibaia
fu ugualmente straordinario.
Sono stata a fianco a quell’uomo
per tutto il suo processo creativo in entrambi i Paesi.
Mostrare i sorrisi portati da Genova fino in Brasile e poi fotografare 120 brasiliani fu davvero commovente.
Mostrare i sorrisi portati da Genova fino in Brasile e poi fotografare 120 brasiliani fu davvero commovente.
Quei sorrisi donati sono una
delle belle cose che ricorderò, un poco prima di abbandonare questa Terra,
insieme al sapore delle olive nere.
Con questo progetto iniziò
effetivamente un interscambio internazionale tra Atibaia e Genova e permise
alla nostra piccola associazione di svilupparsi più in fretta.
In breve avremmo ricevuto
l’appoggio istituzionale dell’Amministrazione Pubblica di entrambe le città.
Nonostante creassimo spesso tanta
bellezza, non posso dire che Giuliano ne fosse particolarmente felice, primo
per il suo carattere che a quel tempo era ancora molto genovese, e poi perché
non ne aveva il tempo per assaggiare ogni cosa fino in fondo.
L’associazione e i progetti crescevano velocemente ma, in pratica, continuavamo ad essere soltanto noi due, in prima linea, a tenere in piedi tutto quanto.
L’associazione e i progetti crescevano velocemente ma, in pratica, continuavamo ad essere soltanto noi due, in prima linea, a tenere in piedi tutto quanto.
Tenendo conto che il mio cervello
funzionava solo in un senso, quello visionario, a lui restava tutta la
burocrazia, la contabilità, i bilanci, gli incontri noiosi, e altro ancora.
Era una gestione faticosa, perché fatta da solo.
Era una gestione faticosa, perché fatta da solo.
Tutto quanto stava prendendo un
grande spazio nella sua vita creativa.
A volte penso che se lui fosse
stato più libero, che cosa avrebbe potuto creare?
Quell’uomo continuava ad
affermare di non voler intraprendere una relazione stabile con me.
Io ormai lo lasciavo stare.
Non rimanevo neppure triste per
le sue parole ed intenzioni, perché era chiaro che fossero solo una creazione
della sua mente.
La sua anima, invece, mi diceva
tutt’altro.
Dichiarò il suo amore senza anche
accorgersene, quando creò l’allestimento per la mia mostra personale: “Cartas” (Lettere).
Avevo portato le due “coperte
della attesa”: la prima, di quando aspettavo i giorni per andare in Italia e la
seconda era quella con la quale contavo il tempo per ritornare in Brasile.
Avevo anche scritto tutte le
lettere che non sono mai state spedite.
Tutte le parole sul tempo
trascorso in quel mondo nuovo e strano.
Lettere che era impossibile
spedire perché scrivevo a casa mia, alla mia città immaginaria.
La Pinacoteca aveva soltanto un
grande spazio completamente vuoto e bianco.
Dal nulla quell’uomo creò, per
me, un’universo onirico e aereo.
Come un ragno, lui cominciò a
tessere con centinaia di fili invisibili, dappertutto.
In questa ragnatela, appese ogni cosa e tutto sembrava fluttuare.
In questa ragnatela, appese ogni cosa e tutto sembrava fluttuare.
Sul fondo della sala appese un
grande dipinto in tessuto, una donna con il cuore in mano e in mezzo alle due
città di Paesi tanto diversi, e dal suo cuore uscivano volando, degli
uccellini.
E lui li fece volare veramente!
Li fece uscire al di fuori del
quadro.
Tutto lo spazio, fino
all’ingresso del pubblico, si riempì di uccellini.
Volavano tra la gente, tra le
lettere fluttuanti di carta trasparente, volavano tra i dipinti, tra i giorni
d’attesa delle coperte cucite.
Era esattamente così che mi ero
sentita in tutti quei giorni vissuti insieme a lui, nella sua città stregata.
Avevo l’anima appesa a un filo
invisibile, senza mai toccare per terra.
Ero stata così, sospesa in aria,
con mille uccellini che volavano fuori dal mio cuore.
Il modo in cui quell’uomo aveva curato la mia mostra, mi dimostrava che mi aveva veramente visto, che mi aveva ascoltato, capito e soprattutto che mi amava.
Il modo in cui quell’uomo aveva curato la mia mostra, mi dimostrava che mi aveva veramente visto, che mi aveva ascoltato, capito e soprattutto che mi amava.
Come Genova, lui si faceva vedere
soltanto in qualche magica occasione.
Atibaia sempre fu una città di grandi silenzi.
Nella mia infanzia ho imparato che, della nostra vita
personale, potevano solo parlare gli altri, che lo facevano a bassa voce,
clandestinamente.
Avevo imparato da piccola a
tacere sempre sulla nostra buona o cattiva sorte, su ciò che succedeva dentro
casa o dentro la nostra anima.
Finalmente, in quella mostra,
dicevo tutto ad alta voce.
Condividevo generosamente il mio
viaggio, in forma intima e sincera con chiunque.
Le mie parole e le mie immagini furono clamorosamente apprezzate, ma sempre con il solito silenzio di quel luogo.
Le mie parole e le mie immagini furono clamorosamente apprezzate, ma sempre con il solito silenzio di quel luogo.
Osservavo le persone che
conoscevo da tempo, principalmente quelle della mia famiglia, che leggevano
attentamente tutte le mie lettere, si voltavano verso di me e salutavano, senza
aggiungere nulla.
Sicuramente niente di rilevante
era cambiato in quella città, tranne me.
E in un momento da sola, mi
spaventai, quando anch’io lessi le lettere e vidi i dipinti.
Ad un tratto quella persona, che prima ero stata io, quella pazza che prese la valigia e si tuffò nell’ignoto, si era congedata da me.
Ad un tratto quella persona, che prima ero stata io, quella pazza che prese la valigia e si tuffò nell’ignoto, si era congedata da me.
Salutandomi, volò via con i
uccellini.
Ho provato nostalgia di lei ed
anche dolore per la sua scomparsa, ma ormai ero in trasformazione.
Sentivo che anche alle persone a
me vicine, questa nuova realtà nascente, procurava un grande dispiacere.
Tutti volevano che io fossi
com’ero prima, per sempre, ma la Vita prosegue in avanti e sarebbe una
sciocchezza non stare al passo.
Katia
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