INFORMAZIONI SU QUESTO LIBRO-BLOG

Questa storia narra di dieci anni vissuti da Katia e da Giuliano.
Il racconto è un "binario", costruito a "doppi capitoli", scritti individualmente dai due autori.
Ogni anno raccontato, dal 2003 al 2013, racchiude cinque capitoli, al termine dei quali,
si conclude un paragrafo e sono pubblicate delle immagini inerenti gli stessi capitoli.
Il libro, nel suo complesso, avrà pertanto 10 paragrafi, composti da 5 doppi capitoli ciascuno.
La pubblicazione di ogni nuovo capitolo avviene senza un tempo determinato, essendo attualmente in fase di creazione.

p.s.: non possiamo essere responsabili della traduzione tramite google che, purtroppo, risulta NON essere completamente compatibile con il testo originale in lingua italiana.

contatto:emaildiecianni@gmail.com
Grazie per seguirci.
Katia & Giuliano

sabato 22 febbraio 2014

Capitolo 13: Sotto il cielo, Nuvole


Capitolo 13: Sotto il cielo, Nuvole


Ad Atibaia le classi sociali erano nettamente divise, come fossero due margini di un fiume e, questi margini, erano due rette paralelle.
E come spiega la matematica: le rette paralelle non si incontrano mai, soltanto all’infinito, e questo infinito potrebbe chiamarsi arte.
Credo che nelle due mostre d’arte che abbiamo realizzato nella Pinacoteca di Atibaia, siamo riusciti, fosse anche per breve tempo, a far scomparire il confine che divideva le persone.
A Genova avevo visto, oggettivamente, la trasformazione immediata della gente e dalla realtà attorno a loro, soltanto per il fatto di lasciarsi fotografare da Giuliano.
Ero trasformata anch’io, cambiando la paura, che avevo allora, per i genovesi.
Capii che la comprensione della diversità non parte del “tollerare”, accettare o idealizzare l’altro, ma comincia sempre con un sguardo su di sé, con la nostra capacità di ascoltarsi e di connettersi.
Quello che proponeva il progetto : “Sotto il cielo: Nuvole” aveva questa profondità e qualcos’altro di invisibile che non riuscii mai a capire fino in fondo; semplicemente accadeva.
Realizzarlo a Genova o ad Atibaia fu ugualmente straordinario.
Sono stata a fianco a quell’uomo per tutto il suo processo creativo in entrambi i Paesi.
Mostrare i sorrisi portati da Genova fino in Brasile e poi fotografare 120 brasiliani fu davvero commovente.
Quei sorrisi donati sono una delle belle cose che ricorderò, un poco prima di abbandonare questa Terra, insieme al sapore delle olive nere.

Con questo progetto iniziò effetivamente un interscambio internazionale tra Atibaia e Genova e permise alla nostra piccola associazione di svilupparsi più in fretta.
In breve avremmo ricevuto l’appoggio istituzionale dell’Amministrazione Pubblica di entrambe le città.
Nonostante creassimo spesso tanta bellezza, non posso dire che Giuliano ne fosse particolarmente felice, primo per il suo carattere che a quel tempo era ancora molto genovese, e poi perché non ne aveva il tempo per assaggiare ogni cosa fino in fondo.
L’associazione e i progetti crescevano velocemente ma, in pratica, continuavamo ad essere soltanto noi due, in prima linea, a tenere in piedi tutto quanto.
Tenendo conto che il mio cervello funzionava solo in un senso, quello visionario, a lui restava tutta la burocrazia, la contabilità, i bilanci, gli incontri noiosi, e altro ancora.
Era una gestione faticosa, perché fatta da solo.
Tutto quanto stava prendendo un grande spazio nella sua vita creativa.
A volte penso che se lui fosse stato più libero, che cosa avrebbe potuto creare?

Quell’uomo continuava ad affermare di non voler intraprendere una relazione stabile con me.
Io ormai lo lasciavo stare.
Non rimanevo neppure triste per le sue parole ed intenzioni, perché era chiaro che fossero solo una creazione della sua mente.
La sua anima, invece, mi diceva tutt’altro.
Dichiarò il suo amore senza anche accorgersene, quando creò l’allestimento per la mia mostra personale: “Cartas” (Lettere).
Avevo portato le due “coperte della attesa”: la prima, di quando aspettavo i giorni per andare in Italia e la seconda era quella con la quale contavo il tempo per ritornare in Brasile.
Avevo anche scritto tutte le lettere che non sono mai state spedite.
Tutte le parole sul tempo trascorso in quel mondo nuovo e strano.
Lettere che era impossibile spedire perché scrivevo a casa mia, alla mia città immaginaria.
La Pinacoteca aveva soltanto un grande spazio completamente vuoto e bianco.
Dal nulla quell’uomo creò, per me, un’universo onirico e aereo.
Come un ragno, lui cominciò a tessere con centinaia di fili invisibili, dappertutto.
In questa ragnatela, appese ogni cosa e tutto sembrava fluttuare.
Sul fondo della sala appese un grande dipinto in tessuto, una donna con il cuore in mano e in mezzo alle due città di Paesi tanto diversi, e dal suo cuore uscivano volando, degli uccellini.
E lui li fece volare veramente!
Li fece uscire al di fuori del quadro.
Tutto lo spazio, fino all’ingresso del pubblico, si riempì di uccellini.
Volavano tra la gente, tra le lettere fluttuanti di carta trasparente, volavano tra i dipinti, tra i giorni d’attesa delle coperte cucite.

Era esattamente così che mi ero sentita in tutti quei giorni vissuti insieme a lui, nella sua città stregata.
Avevo l’anima appesa a un filo invisibile, senza mai toccare per terra.
Ero stata così, sospesa in aria, con mille uccellini che volavano fuori dal mio cuore.
Il modo in cui quell’uomo aveva curato la mia mostra, mi dimostrava che mi aveva veramente visto, che mi aveva ascoltato, capito e soprattutto che mi amava.

Come Genova, lui si faceva vedere soltanto in qualche magica occasione.

Atibaia sempre fu una città di grandi silenzi.
Nella mia infanzia ho imparato che, della nostra vita personale, potevano solo parlare gli altri, che lo facevano a bassa voce, clandestinamente.
Avevo imparato da piccola a tacere sempre sulla nostra buona o cattiva sorte, su ciò che succedeva dentro casa o dentro la nostra anima.
Finalmente, in quella mostra, dicevo tutto ad alta voce.
Condividevo generosamente il mio viaggio, in forma intima e sincera con chiunque.
Le mie parole e le mie immagini furono clamorosamente apprezzate, ma sempre con il solito silenzio di quel luogo.
Osservavo le persone che conoscevo da tempo, principalmente quelle della mia famiglia, che leggevano attentamente tutte le mie lettere, si voltavano verso di me e salutavano, senza aggiungere nulla.

Sicuramente niente di rilevante era cambiato in quella città, tranne me.
E in un momento da sola, mi spaventai, quando anch’io lessi le lettere e vidi i dipinti.
Ad un tratto quella persona, che prima ero stata io, quella pazza che prese la valigia e si tuffò nell’ignoto, si era congedata da me.
Salutandomi, volò via con i uccellini.
Ho provato nostalgia di lei ed anche dolore per la sua scomparsa, ma ormai ero in trasformazione.
Sentivo che anche alle persone a me vicine, questa nuova realtà nascente, procurava un grande dispiacere.
Tutti volevano che io fossi com’ero prima, per sempre, ma la Vita prosegue in avanti e sarebbe una sciocchezza non stare al passo.

Katia

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