INFORMAZIONI SU QUESTO LIBRO-BLOG

Questa storia narra di dieci anni vissuti da Katia e da Giuliano.
Il racconto è un "binario", costruito a "doppi capitoli", scritti individualmente dai due autori.
Ogni anno raccontato, dal 2003 al 2013, racchiude cinque capitoli, al termine dei quali,
si conclude un paragrafo e sono pubblicate delle immagini inerenti gli stessi capitoli.
Il libro, nel suo complesso, avrà pertanto 10 paragrafi, composti da 5 doppi capitoli ciascuno.
La pubblicazione di ogni nuovo capitolo avviene senza un tempo determinato, essendo attualmente in fase di creazione.

p.s.: non possiamo essere responsabili della traduzione tramite google che, purtroppo, risulta NON essere completamente compatibile con il testo originale in lingua italiana.

contatto:emaildiecianni@gmail.com
Grazie per seguirci.
Katia & Giuliano

domenica 23 febbraio 2014

Capitolo 13 - sotto il cielo, Nuvole


Capitolo 13 - sotto il cielo, Nuvole - parte 1


“sotto il cielo, Nuvole di Genova” era pronto.
Le gigantografie dei sorrisi volevano incontrare il loro pubblico.

La Pinacoteca di Atibaia non aveva lo spazio sufficiente per un allestimento così complesso come lo avevo progettato, ma era il più grande spazio che il Municipio potesse mettermi a disposizione, e allora la adattai.

Il lavoro dell’allestimento fu senza aiuto alcuno e come al solito, io e Katia, ci mettemmo al lavoro.
La sua complessità ci fece dannare per molte ore in quei giorni di caldo afoso.
Eravamo sfiniti, completamente sfiniti.
Sembrava dovessi mantenere una parola data, un impegno con il mondo intero, una sfida contro la morte stessa, ma dovevo farcela, in tempo, in quel breve lasso di tempo, ad allestire la mostra, come meglio potevo, per il rispetto che avevo per coloro che erano presenti nelle mie immagini.
Ricordo molto bene che quasi svenni.
Ero semi addormentato su una piattaforma in legno che serviva alla mostra e Katia era preoccupata seriamente per me.
Forse pensò che fossi impazzito.
“Rinuncio.”dissi.“…non ce la faccio più…”
Stavamo andando contro corrente.
No, tutto ci era contro, anche noi stessi.
Non ho presente la reazione di Katia, dato il mio momento confusionale, ma so che lei mai mi abbandonò.
Sarebbe stata con me se avessi rinunciato o se avessi dato l’ultima goccia di sudore e sangue, in quelle ultime ore notturne, prossime all’inaugurazione.
Non avevo forze e mi sentivo svuotato.
Ma qualcosa accadde.
E mi ritrovai sulla scala, per la milionesima volta, ad appendere l’ennesima grande immagine, pensando o dicendo, “lo faccio per Voi.”
Continuai come non so, ma so che fino al momento dell’apertura, stavo ancora sistemando le ultime immagini, senza aver dormito la notte prima, perché eravamo chiusi lì dentro.

Le 80 immagini erano fissate a due metri di altezza e facevano il giro del salone posizionate in circolo grazie a un complicatissimo labirinto di fili invisibili.
Altre 80 piccole immagini, su una piattaforma centrale, delle stesse persone ma ritratte a volto serio.
Un proiettore illuminava una serie di teloni, fissati sul soffitto della sala con le immagini di nuvole in movimento.
Musica di fondo, insieme alle voci registrate, erano la colonna sonora, diffusa da un sistema audio in tutta la sala.
Un sipario lo avevamo istallato per dividere la sala espositiva da quella da una performance teatrale.
E il momento dell’inaugurazione avvenne.

Era per me necessario che il pubblico entrasse nello spazio riservato alle immagini, già preparato all’incontro e avevo studiato una performance teatrale che avrebbe aiutato in questo.
Chi oltre Katia, che aveva seguito e vissuto tutto il processo della realizzazione del progetto, poteva essere l’attrice?
Vestita di nero in piedi sul balcone della reception, accolse il pubblico, che era curioso e impaziente.
La sua performance era una ripresa di ciò che avevano raccontato i miei intervistati.
Loro erano ancora protagonisti con la loro vita, ma questa volta rappresentata in forma teatrale.
Le loro emozioni, donate al mio microfono, venivano rielaborate per creare nuove emozioni.
Magia del Teatro.
Magia di Katia.
Il testo era basato sul filo della vita e, l’attrice, aveva in mano un gomitolo di filo rosso.
Al termine del suo racconto, metteva nelle mani di ogni spettatore, una parte del filo, fino a creare una catena di persone e, continuando a dare suggestioni sulla metaforica appartenenza di quel filo, finalmente, apriva il sipario che divideva la sala e invitava il pubblico, unito dal filo rosso, a entrare, nella musica, tra le nuvole, e tra i sorrisi.
Fu magico.

Questa prima esposizione di “sotto il cielo, Nuvole” ci portò ad essere maggiormente conosciuti dalla parte sociale più benestante della città, al punto che si può dire che questo fu effettivamente il nostro primo biglietto da visita per un interscambio tra i Paesi, dove la poesia voleva essere la chiave che apriva la porta, e che l’amore doveva essere l’unico argomento di questa conversazione.

Il nostro compito non sarebbe stato concluso, se questa mostra non l’avessero visitata anche chi non aveva mai avuto prima accesso a certe informazioni.
Per questo chiedemmo al Comune la possibilità di utilizzare un autobus, con il quale invitare il pubblico che sognavamo di avere: coloro che avevamo visto crescere con noi, i ragazzi della comunità religiosa, che si emozionarono solo all’invito, e le famiglie coinvolte nei nostri progetti, residenti nella favela, che portarono con loro tutti i loro figli, vestiti con il più bell’abito da festa.

Fu un onore per noi ripresentare la performance dell’inaugurazione, dedicandola a loro.
Conclusa la parte teatrale, dopo alcuni minuti accesi le luci per invitare i nostri cari amici ad un applauso, rivolto a Katia.
Quell’applauso ha ancora eco dentro di noi, perché era carico di amore e riconoscenza.

Ci guardammo negli occhi e ci commuovemmo insieme, finalmente, per noi stessi.




sotto il cielo, Nuvole - parte 2

Un proiettore rumoroso, super-otto si chiamava, e il suo fascio di luce, piccolo perché proiettava le sue immagini sulla vicina sponda del mio letto.
Di notte, prima di dormire e di nascosto dai miei genitori, guardavo il mio cinema.
Erano cartoni animati, a colori.
E comiche.
Due o tre film, sempre gli stessi, avuti chissà da chi e come, ma erano il mio cinema, per un breve periodo di tempo.
Poi scomparvero, e anche di questo non conosco il motivo.
La memoria è uno scrigno difficile da aprire.
Rivela cose e altre le oscura.
Forse esiste uno scomparto nascosto, in quello scrigno.
Forse dovremmo cercarlo.

Era prevista nel progetto “sotto il cielo, Nuvole” la realizzazione del ritorno a Genova, con le immagini dei sorrisi dei brasiliani.
Ma non avevo uno studio fotografico a disposizione e allora pensai che fotografare durante l’esposizione poteva essere un’idea.
Infatti molte furono le adesioni, ma sentii che non dovevo stare fermo in un unico luogo.

Sempre con Katia al mio fianco, fermai persone per la strada, nella piazza centrale della città, nei negozi, ovunque incontrassi una possibilità di scambio.
Ripresi il sorriso di un barbiere, nel suo negozio fatiscente, immigrato dal nord alla ricerca di una vita dignitosa, forse mai trovata, vicino alla grande metropoli, fotografai la proprietaria di un piccolo bar, straordinaria, viva e forte, con i seni giganteschi per contenere il suo grande cuore, fotografai un anziano signore, distinto, nobile, che sorrise con l’eleganza di un principe esiliato, fotografai bambini, donne, uomini, due transessuali, uno dei quali fu pianto pochi mesi dopo per il suo omicidio, fotografai la venditrice di oggetti di magia nera e bianca, una signora che gentilmente si offrì per donare il suo sorriso, anche se forse non ne aveva mai fatto uno in vita sua, fotografai Jorge, sua madre, sua nonna e sua sorella, fotografai i nostri amici volontari, fotografai un uomo di strada, ubriaco, che si sforzò per mostrare il meglio di sé, fotografai il sindaco di Atibaia, che anche lui si sforzò ma non riuscì a dare il meglio di sé, fotografai politici, bambini orfani, assessori, ragazze madri, persone miti, violente, padri e figli, fotografai tutti coloro che volevano esserci, spazzini, muratori, casalinghe, donne molto ricche, donne senza nulla, tutti sorridendo, tutti donatori.

E poi andammo in una casa di riposo per anziani.
Era l’abbandono la prima sensazione che mi colpì, quando entrai, e la profonda solitudine, la morte, nel suo aspetto più tetro, era presente come un’ospite fisso.
Chiesi i permessi ai responsabili dell’Entità e invitai gli anziani ospiti a partecipare.
Alcuni di loro non erano in condizioni, ma altri furono lieti di sorridere, senza denti, senza nulla, sorrisero.
In quell’ospizio, tornammo ancora, gli anni dopo, per portare la nostra energia, con clown e intrattenimenti, ma mai più rividi le persone che quel giorno donarono il sorriso.

Questa volta il “sotto il cielo, Nuvole” era cambiato.
Era più aperto, senza la barriera dell’età calibrata dalla mia precisione metodica, e furono 120 le persone che si prestarono al progetto.
Scelsi di fermarmi a questo numero perché sapevo che altrimenti non avrebbe avuto mai fine.
Le fotografie erano su pellicola che, una volta stampate e convertite in file digitali, assemblai in un video, aggiungendo una musica di sottofondo che avevo registrato in una festa folcloristica della città.

Ed ecco a voi, “sotto il cielo, Nuvole di Atibaia”.
Atibaia lo vide in una proiezione pubblica, e uscì anche un articolo sul giornale, e poi Katia lo portò con sé in Francia ad un Festival dove lei, attraverso la sua arte, rappresentava la sua città e, dopo ancora, lo mostrai a Genova, per chiudere definitivamente il cerchio, per completare il ciclo con la risposta al sorriso, con un altro sorriso.

80 sorrisi di Genova.
120 sorrisi di Atibaia.
E non sorridevano a me o alla macchina fotografica.
Sorridono a Te, che stai leggendo, ora.

Giuliano

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