INFORMAZIONI SU QUESTO LIBRO-BLOG

Questa storia narra di dieci anni vissuti da Katia e da Giuliano.
Il racconto è un "binario", costruito a "doppi capitoli", scritti individualmente dai due autori.
Ogni anno raccontato, dal 2003 al 2013, racchiude cinque capitoli, al termine dei quali,
si conclude un paragrafo e sono pubblicate delle immagini inerenti gli stessi capitoli.
Il libro, nel suo complesso, avrà pertanto 10 paragrafi, composti da 5 doppi capitoli ciascuno.
La pubblicazione di ogni nuovo capitolo avviene senza un tempo determinato, essendo attualmente in fase di creazione.

p.s.: non possiamo essere responsabili della traduzione tramite google che, purtroppo, risulta NON essere completamente compatibile con il testo originale in lingua italiana.

contatto:emaildiecianni@gmail.com
Grazie per seguirci.
Katia & Giuliano

sabato 1 marzo 2014

Capitolo 14 - incontri


Capitolo 14 - incontri


Ero all’inizio di una lunga e profonda trasformazione.
Riuscire a stare al fianco di quell’uomo era, già di per sé, un gran travaglio di cuore che mi richiedeva continuamente nuove sfide personali.
E non meno faticoso era svolgere tutte le attività dell’associazione.
In genere non ho mai avuto difficoltà nel rapporto con le persone in stato di estrema povertà e mai mi sono sentita a disagio nei quartieri svantaggiati.
Con lo spirito del pagliaccio riuscivo ad eseguire tutti i progetti artistici con la medesima energia libera, allegra e in grande intesa con bambini e adulti.

Per visitare le donne cucitrici e i loro numerosi figli, era necessario passare in mezzo alla grande discarica Municipale della spazzatura, attraversare una nuvola di polvere e puzza, deviare intorno a un mucchio di detriti, saltare le fogne a cielo aperto, salvarsi da ladri o da altri pericoli, per finalmente trovare i bambini che giocavano in mezzo agli avvoltoi, ai cani randagi e le loro madri, davanti alle loro “case/baracche”.
Per me tutto ciò era decisamente più facile e piacevole che affrontare una riunione con il Sindaco o partecipare all’inaugurazione di una mostra d’arte, dove non sapevo mai come muovere le mani e nè come fermare i miei piedi.
Ero sempre a disagio in queste riunioni, in mezzo a vestiti da sera e a calici di vino.
Avevo un’immensa difficoltà per le relazioni sociali di un certo tipo, ma sapevo che anche queste erano necessarie allo sviluppo delle nostre attività solidali.
L’associazione era fatta di persone e per le persone, per questo avevamo tanti incontri, veramente infiniti incontri!
Siano quelli con i responsabili dell’Amministrazione Pubblica, Enti ed altre Strutture, siano quelle informali, che continuamente ci capitavano.
Quell’uomo aveva una bussola dentro di sé, che invece di indicare sempre la direzione nord, lo attirava verso altri esseri umani.
Dentro la nostra sede appena ristrutturata, c’era un constante viavai.
Un mosaico di svariate persone che entravano ed uscivano: giovani teatranti volontari, qualche pittore desolato, un vecchio scrittore italiano immigrato, i vicini curiosi, le persone assistite da noi delle comunità che ci venivano a visitare e tutti gli artisti e artigiani che Giuliano aveva trovato per le strade di Atibaia.
Lui percepiva e ascoltava chiunque.
Voleva sapere la loro motivazione e il loro sogno, e molto spesso si metteva all’azione per, in qualche modo, rendere possibile la loro aspirazione.
Oltre quel movimento nella nostra sede eravamo spesso ospiti a qualche pranzo, cena, merenda o semplicemente eravamo fermati per la strada o per far parte di una riunione dentro a un bar.
Lui non rifiutava mai nessun invito, anzi, da un incontro ne nascevano altri dieci.

E così, da un incontro con un artista visivo di grande talento che di giorno faceva il contabile, andammo a conoscere artisti in una festa popolare presso Joanopolis, la Capitale del Lupo Mannaro.
Ormai Giuliano non usciva più senza la sua piccola telecamera, perché stavano nascendo in lui nuovi desideri di espressione e non voleva perdere alcuna occasione.
Durante quella festa registrò una canzone in particolare, che anni dopo avrebbe inserito nella colonna sonora del progetto: Sotto il cielo: Nuvole di  Atibaia.
In quel groviglio di musicisti con strani capelli, santi, contadini e cacche di cavallo, lui conobbe una ceramista che, anche lei, ci invitò a pranzo e nel suo atelier, nel mezzo della campagna.
Durante il pranzo quella singolare famiglia mi certificò l’esistenza del Lupo Mannaro e mi diedero le indicazioni giuste di come poterlo sconfiggere.

Seguire Giuliano mi portava a vivere le cose di cui non mi sarei mai permessa prima.
A causa della mia timidezza, sicuramente non avrei accettato nessuno di questi inviti. E intanto diventava piacevole conoscere tante realtà e tanti nuovi punti di vista diversi.
Avevo un poco di pigrizia nel guardare il Mondo con gli occhi degli altri, perché a volte è davvero faticoso e spesso ci ritroviamo con il rischio di cambiare il nostro.
Insieme a quell’uomo, ormai, ero in questo vortice.
Non sapevo più dove andassi a finire l’indomani, in quale realtà sociale sarei capitata e in quale casa avrei pranzato o cenato, ma la ceramista finì per prendere parte ad una mostra d’arte a Genova appositamente creata dalla nostra associazione per realizzare il desiderio di artisti conosciuti durante in nostro camminare senza sosta.

Piano piano tutto questo movimento stava cambiando anche quella mia finta timidezza, che nascondeva sotto un’insicurezza, che a sua volta nascondeva tutt’altro che solo molto più avanti avrei potuto scoprire.
Presto sarei stata costretta cambiare pelle, più e più volte, come fanno i serpenti.
Però in quel momento, si avvicinava una dura prova.
Giuliano doveva ripartire per Genova, senza di me.
Sarei rimasta ad Atibaia da sola e avrei dovuto gestire la sede darearte e tutti i progetti locali.
E poi avrei anche dovuto vederlo partire…respirai a fondo.
Una parte di me voleva scomparire dentro un buco e piangere un mare di lacrime, ma una grande maggioranza di me votò a favore per andare avanti.
Era una grande sfida, una pietra davanti al cammino e non sapevo se fossi stata capace di affrontarla.
Prima di tutto guardai gli aspetti positivi: in breve sarei tornata a Genova, anch’io.
Le attività dell’associazione mi avevano portato grande visibilità e i lavori privati erano, per me, sempre abbondanti.
Anche se ero volontaria con darearte, senza alcun compenso, mai mi sono mancati i soldi.
 
Durante la mostra di “Cartas”, fui invitata a fare illustrazioni per un libro e con questo mi sarei pagata il biglietto aereo per l’Italia.
Sarei stata la responsabile per trasportare tutte le opere d’arte dei brasiliani, alla mostra di Genova.
La parte positiva che più mi convinceva era che, per almeno quattro mesi, non avrei più convissuto con la “Signora del Danubio”!
Sarei stata finalmente sola, con la mia foresta, con la mia montagna e con la mia vita.
Ma tutti questi pensieri luminosi, non hanno impedito alle paure di arrivare numerose.
Avrei dovuto mantenere la contabilità, curare la Sede, coordinare i volontari, andare alle riunioni, incontrare persone, organizzare progetti e realizzarli.
Dovevo chiedere al mio pagliaccio di farsi largo nel mio cervello affinché potesse funzionare qualche raggio di ragionevolezza.
Dovevo persino chiedere alla donna dentro di me di resistere al distacco da quell’uomo.
Dopo la contabilità l’aspetto più difficile per me era quello di dover continuare tutti quegli incontri, da sola, senza poter contare più con il talento innato di Giuliano, quello di capire profondamente le persone e, proprio per questo, dargli un margine, un limite.

Invece io ero goffa e ancora non sapevo come relazionarmi.
Arrossivo, inciampavo nelle parole, ora parlavo tanto e ora mi mancavano i verbi. Quando dovevo essere dolce mi chiudevo e quando occorreva di mettere un limite, lasciavo che le persone invadessero la mia vita.
Mi mancava l’attenzione nel tempo presente.
Se avevo un incontro con il Segretario della Cultura, scrivevo su un foglio tutto quanto mi occorreva ricordare, poi nel cammino perdevo il foglio, mi distraevo con il tramonto o con le farfalle e arrivavo con i capelli arruffati.
Mi lasciavo travolgere dai pettegolezzi dei funzionari e dalla costante curiosità sulla mia persona.
Alla fine riuscivo ad eseguire sempre il mio compito, anche se in maniera approssimativa, e poi inventavo soluzioni per rammendare tutte le falle che avevo lasciato nel cammino.
Mi sbilanciava il fatto di essere sempre troppo in vista, presente nelle copertine dei giornali locali e, adesso, conosciuta da tutti.
Questi riflettori su di me mi spingevano verso ferite del mio passato che avevo mantenuto nel buio per lungo tempo.

Quando Giuliano partì mi sedetti e pensai di desistere.
Dato che lui se ne era andato, sarebbe stato il momento di prendere le valigie e scappare!
Basta con gli incontri, basta i progetti, basta seguire quell’uomo così difficile, basta dover sempre scoprire qualcosa dentro di me!
Avevo tanta paura di cambiare perché non intendevo perdere nulla.
Per fortuna, questo fu soltanto un istante di follia e di codardia che mi sono permessa.
Nella realtà non mi fermai.
Presi la mia spada di zucchero filato, il mio naso rosso e andai verso la battaglia, in mezzo alla tempesta.
Davanti a me sorgevano, ogni giorno, nuove sfide.
E più le vincevo, più ostilità e incomprensione mi trovavo davanti.
Sembrava che tutto questo vivere, mi stesse spingendo verso un viaggio interiore.
Non un viaggio verso splendide spiagge in superficie, ma nella direzione di abissi oscuri e sconosciuti.
E più scendevo verso il buio, più in basso venivo spinta.
Sentivo che avrei provato tanto dolore, incontrato antichi scheletri e riaperto vecchie ferite, ma solo scavando sul fondo avrei potuto trovare i veri Tesori.

Per questo decisi instintivamente di proseguire e di lasciarmi andare alla Vita.


Katia

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