INFORMAZIONI SU QUESTO LIBRO-BLOG

Questa storia narra di dieci anni vissuti da Katia e da Giuliano.
Il racconto è un "binario", costruito a "doppi capitoli", scritti individualmente dai due autori.
Ogni anno raccontato, dal 2003 al 2013, racchiude cinque capitoli, al termine dei quali,
si conclude un paragrafo e sono pubblicate delle immagini inerenti gli stessi capitoli.
Il libro, nel suo complesso, avrà pertanto 10 paragrafi, composti da 5 doppi capitoli ciascuno.
La pubblicazione di ogni nuovo capitolo avviene senza un tempo determinato, essendo attualmente in fase di creazione.

p.s.: non possiamo essere responsabili della traduzione tramite google che, purtroppo, risulta NON essere completamente compatibile con il testo originale in lingua italiana.

contatto:emaildiecianni@gmail.com
Grazie per seguirci.
Katia & Giuliano

domenica 9 marzo 2014

Capitolo 15: cinque voci


Capitolo 15: cinque voci

Era notte.
Finalmente era arrivato il momento di buttare per aria le mie scarpe, lasciare che le preoccupazioni, i compiti e gli affanni del giorno scivolassero via con l’acqua della doccia, per poi infine spegnere tutte le luci di casa e spalancare la finestra per far entrare il chiaro della luna.
Dalla mia stanza, ora tutta di colori argentei, si vedevano le stelle.
Quanto più ferma restavo a contemplare la notte, più si percepiva quanto tutto fosse in movimento.
Provavo l’emozione infinita di essere partecipe a questo viaggio spaziale.
E’ da quando ero piccola, che nutro il piacere di guardare il cielo stellato.
Quanta allegria e paura provavo solo nel pensare a tutte quelle storie sulle galassie lontane, stelle che ormai sono già morte ma che ancora vediamo, pianeti di gas e così via... inoltre avevo il sentimento primitivo, che forse avevo appreso da un Brasile antico e magico, di essere integrata a quel vasto universo.
Purtroppo la mia (quasi) assenza di logica ed incapacità di capire la matematica, non mi ha mai permesso di capire l’astronomia.
La scienza, ormai, era fuori mano; al limite sarei potuta diventare una “curandeira”, ossia una donna capace di guarire tramite cose invisibili, come l’arte.
Comunque sia, la passione per il cielo stellato non l’ho mai persa e adesso avevo la solitudine necessaria per goderla.

Per fortuna dovevo dormire sola nella sede darearte, un obbligo di presenza, altrimenti avrebbe seguito il destino di tutte le case disabitate: sarebbe stata invasa o saccheggiata.
Cose che accadono nei Paesi in via di sviluppo.
Nonostante avessi una grande mancanza di quell’uomo, tutto quel tempo a mia disposizione fu una vera benedizione e mi stava rinforzando e nutrendo, come fa un concime per una pianta.
Erano già passati tre mesi della partenza di Giuliano e me la cavai benissimo, ma proprio l’ultimo mese d’attesa fu terribilmente difficile da sopportare.
Nessun ricamo, cucito, dipinto, stella e nessuna delle tante attività che solitamente mi tenevano occupata per quasi tutta la giornata, da domenica a domenica, erano state capaci di alleggerire quel vuoto improvviso.
Non avevo voglia di aspettare quegli ultimi trenta giorni che restavano, era sparita la pazienza e la serenità.
Cercai nella mia valigia di medicinali e fu allora che il Teatro venne in mio soccorso.

Feci un monologo-clown a vantaggio dell’associazione, ma soprattutto lo creai per calmare quel dolore dell’attesa.
Condividevo le mie goffe difficoltà e celebravo il mio amore per Giuliano e alla nuova vita che stavo vivendo dopo il suo incontro.
Molti furono gli applausi per quello spettacolo e, come ormai di consuetudine, ne fecero un articolo che uscì sul giornale.
Ma intravidi i primi segni di una velata ostilità.
Cominciavo ad essere troppo, troppo in vista e per oscure ragioni, naturali nella mia piccola città, questo era molto sconveniente.
Sentii che stavo diventando una figura scomoda e difficile da inquadrare (o da sopportare).
In quel luogo, per tradizione, era stato tramandato da generazione a generazione l’idea dell’inutilità della luce sopra l’oscurità, della creatività sopra la sofferenza e principalmente della fraternità e dell’amore come fondamenta per la Vita.
In quel momento ero molto condizionata dal pensiero comune, al punto di crearmi una grande angoscia e amarezza.
Non avevo ancora vissuto certe esperienze “illuminanti”, tali da capire che non importava il luogo dove fossi nata, né l’eredità negativa che potevo aver ricevuto, perché comunque, alla fine, potevo cambiare la mia vita.
Oggi l’ho scoperto, ma in quei giorni piansi amaramente e diventai vecchia prima dal tempo.

A prescindere dalle lacrime, il tempo generosamente mi portò il giorno tanto atteso.
Il giorno del mio ritorno in Italia.
Diversamente dall’ultima volta controllai il biglietto aereo più e più volte.
E mi preoccupai di controllare di avere scarpe e vestiti adatti all’inverno.
E la mia valigia era molto diversa da quella precedente, piena di oggetti inutili e sogni fluttuanti, adesso nel mio bagaglio c’erano tutte le opere degli artisti brasiliani, di Atibaia.
Ora portavo il Loro sogno fluttuante!
E per questo dovevo avere doppia attenzione.

Questo secondo viaggio a Genova fu molto significativo, sotto tutti gli aspetti.
Quel ritorno in Italia era il risultato concreto del grande e veloce sviluppo dell’associazione, del mio lavoro personale ed anche della forza del mio legame con Giuliano.
Quel viaggio era come un raggio di luce nella mia vita, ma quando si illumina qualcosa con un faro, un’altra parte rimane inevitabilmente nel buio.
E cosi fu.
Sentivo molta allegria ma non riuscivo ad ignorare, attorno a me, la crescente  nuvola di disapprovazione e dispiaceri.
Dalle persone lontane alle persone vicine, avvertivo lo stesso sentimento color giallo- ruggine, nascosto sotto le loro parole di congratulazioni.
Volevo alleggerire i loro dispiaceri, sinceramente, ma non sapevo come e non avevo ancora nessuna saggezza.
Sarei dovuta essere tutt’altra cosa, per essere accettata, e per fortuna non ci provai.
Semplicemente non ci pensai più: dovevo assolutamente rivedere Giuliano e mangiare le mie olive nere.
Credo che le olive nere risolvano tutti i conflitti inutili, perché insegnano ad amare la vita, sopra ogni cosa.

L’imbarco con tutte le opere d’arte fu davvero faticoso, ma l’aspettativa dell’arrivo in Italia alleggeriva tutto. 
All’andata sembravo volare, con quel pesante carico, mentre al ritorno in Brasile quel bagaglio sarebbe diventato più pesante del necessario.
Arrivai a Milano senza nessun incidente, con lo stupore di quell’uomo che da me si aspettava di tutto.
Mi incontrò alla Stazione Centrale e condivise con me il calvario di dover trasportare tutte le quindici opere in treno fino ad Genova.
E furono due, i treni che dovemmo prendere.
Finalmente arrivati a casa, sembravamo invecchiati di cent’anni.
Ma dopo pochi attimi, eravamo già rinvigoriti, felici di rivederci.

Il giorno dopo lui mi portò al mare, anche se era già ottobre e la stagione calda era finita.
Ero tanto felice di rivedere Genova, che entrai in mare completamente vestita, per salutarlo nelle sue gelide acque.
Adesso avevo imparato a relazionarmi con quella Città e non avevo più tanta paura. Forse era più una premura e rispetto al suo cospetto stregato.
E lo stesso valeva per quell’uomo.
Adesso stavo imparando come muovermi dentro la sua vita.
Quella vita simile ai carruggi genovesi, fatta di lunghi labirinti, con vie bellissime, misteriose, brutte, buie e anche proibite.
Comunque sia avevo la distrazione tipica dell’amore, e quella mi faceva andare avanti, aprire tutte le porte, voler conoscere ogni angolo vietato anche a costo di trovare spesso il dolore.
Non mi sono mai pentita di questo.
Credevo, e continuo a credere nell’amore come forza capace di sostenerci anche davanti alla visione più brutta del mondo.

La mostra d’arte fu un successo, arrivò perfino la TV Rai3 a farci un’intervista promozionale, ed eravamo molto felici.
La nostra maggiore gratificazione non era individuale, ma dovuta alla consapevolezza che quello era un successo collettivo!
Lì c’erano insieme il sogno della ceramista di una piccola città, le aspirazioni di un giovane pittore e del suo vecchio padre, la riconoscenza che perseguitava un ambizioso artista già rinomato, la produzione artigianale realizzata dalle cucitrici della favela, le bambole di tessuto create da madri-bambine di un’Entità di accoglienza, i disegni dei bambini degli orfanotrofi e le loro fotografie.
Dare a tutti una possibilità, portarli in un altro Mondo, aldilà del mare, per fare in modo che a casa loro possano essere rivalutati, ascoltati e valorizzati.
Per noi era questo che muoveva profondamente le nostre azioni e alleggeriva le nostre fatiche.
Senza questo, chi ce lo faceva fare?

L’anno finì, bello come era arrivato.
A breve sarei ritornata in Brasile e non intendevo rimanere nemmeno un secondo di più di quello previsto dalla Legge Italiana!
Non avrei sopportato essere di nuovo “clandestina”.
Dovevo andare via, anche se era bellissimo condividere la Vita con quell’uomo.
Tutti gli istanti erano particolari, dai piccoli ai grandi momenti, e solo a vederlo leggere un giornale riempiva di farfalle il mio giorno.
E poi Giuliano era un vulcano di idee e voleva realizzarle tutte.
Aveva già in mente un interscambio di artisti, trenta artisti brasiliani e trenta italiani da realizzare ad Atibaia, aveva proposto all’Istituto Italiano di Cultura di realizzare la mostra: Sotto il cielo: Nuvole di Genova a Sao Paulo e nella sua pentola c’era sempre un gran bollire.
Per questo era necessario che io ritornassi al più presto, per organizzare tutto e ricominciare le attività dell’associazione prima del suo arrivo dove, insieme,  avremmo creato altre decine di progetti.
Mi dispiaceva lasciarlo ma, in fondo, sentivo un’inconsueta allegria, perché ritornavo alle mie serate solitarie e a guardare il cielo stellato.


Katia

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