Capitolo
16 – Fiducia
E’ un freddo giorno di gennaio
del 2006, quando Katia si deve preparare al suo ritorno in Brasile.
I bagagli che porterà con sè sono le opere dei suoi concittadini che, molto pesanti, renderanno poco confortevole il suo viaggio.
L’accompagnai a Milano in treno, la sera prima del volo previsto per l’alba.
La lasciai sola in tarda serata, a malincuore, per l’ennesimo sacrificio al quale era sottoposta.
Vederla affrontare gli ostacoli e le proprie paure, mi procurava due emozioni distinte.
Una era quella di essere felice di avere a fianco una donna di tale fattura, generosa e coraggiosa.
L’altra era procurata dalla consapevolezza del mio limite nel proteggerla, che mi causava preoccupazione per lei, che cercavo di dissolvere confidando nelle sue capacità.
Non sempre ci riuscivo.
Sapevamo che l’avrei raggiunta dopo pochi mesi, ma quel giorno io ritornai a Genova e lei ritornò ad Atibaia.
Eravamo nuovamente separati dall’oceano.
Molto del tempo che trascorsi in attesa di ritrovare Katia, lo passammo comunicando al telefono e attraverso internet.
Qui di seguito, ci sono due delle nostre e-mail nella loro versione originale, scritte e inviate poco dopo il suo arrivo in Brasile, che possono essere interessanti ai fini del racconto per osservare più da vicino un piccolo frammento di quel nostro particolare momento:
I bagagli che porterà con sè sono le opere dei suoi concittadini che, molto pesanti, renderanno poco confortevole il suo viaggio.
L’accompagnai a Milano in treno, la sera prima del volo previsto per l’alba.
La lasciai sola in tarda serata, a malincuore, per l’ennesimo sacrificio al quale era sottoposta.
Vederla affrontare gli ostacoli e le proprie paure, mi procurava due emozioni distinte.
Una era quella di essere felice di avere a fianco una donna di tale fattura, generosa e coraggiosa.
L’altra era procurata dalla consapevolezza del mio limite nel proteggerla, che mi causava preoccupazione per lei, che cercavo di dissolvere confidando nelle sue capacità.
Non sempre ci riuscivo.
Sapevamo che l’avrei raggiunta dopo pochi mesi, ma quel giorno io ritornai a Genova e lei ritornò ad Atibaia.
Eravamo nuovamente separati dall’oceano.
Molto del tempo che trascorsi in attesa di ritrovare Katia, lo passammo comunicando al telefono e attraverso internet.
Qui di seguito, ci sono due delle nostre e-mail nella loro versione originale, scritte e inviate poco dopo il suo arrivo in Brasile, che possono essere interessanti ai fini del racconto per osservare più da vicino un piccolo frammento di quel nostro particolare momento:
GIULIANO: inviata il 10/01/2006
- Leggo la tua bella lettera di sole e non riesco a rispondere con la
luce, ma con le solite tenebre che qui in questa città d'italia mi oscurano il
cuore.
Sono in un brutto studio fotografico, pieno di energie dolorose e con
il cane “Briciola”.
Abbandonati entrambi dalla luce del sole.
Qui un solo termosifone scalda i nostri peli.
Come spesso accade, mi sono alzato con il peso del corpo che appariva
di altre atmosfere, pesante e rigido.
Come molti altri giorni mi sono rallentato.
La tua presenza non ha nessun tipo di influenza in questo, e nemmeno
la tua assenza. Come si sapeva, non è più merito di nessuno o colpa di chissà
chi, se noi non abbiamo forze.
Forze che si scatenano in rabbie e malattie interiori se non spostano
ciò per le quali sono state create.
Il loro sforzo si moltiplica e l'attrito che si crea diviene
insopportabile alla mente di un uomo.
Così la notte leggo.
Così il giorno cerco giustificazione perchè non riesco a spostare il
corpo.
La mattina mi alzo tardi.
E non ho avuto il tempo di fare le cose che il giorno prima mi
proponevo a gran voce di fare.
Strano l'atteggiamento di questo "guerriero" di terre
desolate.
Strano, ma davvero sta combattendo.
Scrivendo queste parole, lotta con le sue forze che sembrano sempre
essere le ultime.
Lamentando come solo un genovese sa fare, difende la propria pelle
dagli attacchi feroci dei propri morsi.
E continua nell'assoluta cecità un viaggio di inspiegabile dolore.
Le soluzioni sono a portata di mano, è vero, ma chi ha le mani
tremanti per una innata timidezza, per un’artrosi deformante o per un morbo
mortale, non ha facilità nel raccoglierle.
Credo fermamente che, in questo, stia molto della bellezza della
vita.
Conto molto su di te.
Che stai riacquistando fiducia e energia per muovere le cose del
mondo.
Conto su di te per continuare un percorso fatto di Amore.
Conto su di te perchè sei Katia, in queso mondo, in questa Epoca, in
questa Vita.
Conto su di te.
Per Amore.
Andiamo avanti.
Io non mi fermerò.
Non mi fermerò Mai.
Un piccolo soldato in
terre di conquista.
KATIA:
inviata il giorno successivo, 11/01/2006
Ho appena letto la tua e-mail…
Non ti posso dire altro che puoi contare su di me per tutto, lo sai…
Lo sai anche che se potessi io, ti scaldavo il cuore, ma non so
come fare...
Soltanto posso pensarti con amore e mandarti pensieri di affetto,
Sappi che ti amo tanto e mi muovo qua per prepararti tutto
di bello per quando arrivi. Per te, per me, per tutto quanto vogliamo
fare.
C´e da dire che qua per me é piu´facile, con questo caldo e con
l’energia del Brasile, non perché é un posto più buono, che chissa chi, ma
perché é la mia casa… riconosco le montagne e l´odore che mi dà forza e vado
avanti.
Non ti preoccupare, se puoi, continua come puoi fare.
Ci siamo.
In Italia, una volontaria darearte di Torino chiese di
realizzare un’esposizione delle opere di Katia, i volontari darearte di Teramo
chiesero di realizzare una promozione delle attività dell’associazione e un
volontario darearte di Genova chiese di realizzare una promozione delle
attività darearte all’interno dei grandi stabilimenti dove lavorava.
Sono profondamente grato a tutti
coloro che si sono esposti e si sono attivati, con la fiducia e con il rispetto
per ciò che stavamo creando.
Sono profondamente grato a tutti
coloro che hanno risposto, che hanno detto con sincerità: “si, Vi credo” perché ci hanno dato la forza per continuare.
La fiducia era il tassello, di
me, più delicato che potevo esporre.
Nell’esperienza di darearte mi sono dovuto confrontare con la fiducia del
prossimo nei miei riguardi.
È stato molto arduo, molto
difficile, questo confronto.
Fino al giorno che capii che la
fiducia non doveva arrivare dagli altri.
Era una questione che dovevo
risolvere in me.
Io avevo la necessità di fidarmi
di me.
Io dovevo imparare la fiducia.
Si può immaginare quanto si può
soffrire, se centinaia di sguardi estranei sono diffidenti e avversi perchè
vuoi fare qualcosa per qualcun altro, gratuitamente.
Per molti, crederci è davvero
difficile, posso anche capirlo.
Infatti non critico nessuno di
quei commenti o, peggio, di quei silenzi insinuanti che riuscivano a creare
dubbi anche in me stesso!
A volte, pensai che ciò che stavo
facendo era una menzogna.
Perché credevo in quelle voci e
in quei silenzi, e dimenticavo di me e di ciò che realmente stava accadendo.
Lasciamo le voci e i silenzi oscuri fuori di noi, perché
questi abissi non ci appartengono.
Facciamo della nostra Casa solo
ciò che vogliamo essere, liberi dai rumori e dai sussurri.
Restiamo sotto la luce della
nostra Casa, del nostro reale Sogno.
Raggiungere questo equilibrio fu
il primo passo per affrontare l’avventura del progetto che chiamai 30x30.
Grazie a un momento di follia
visionaria, decisi di portare con me, in Brasile, 30 artisti di Genova; non
fisicamente ma attraverso le loro opere, per rappresentare l’Arte della mia
città natale dall’altro lato del mondo.
Attraverso Katia, chiesi ospitalità ad Atibaia per la
realizzazione di una mostra di questo calibro, che avrebbe visto 30 opere di
genovesi, del formato di 30cm.x 30cm., apparire nel nuovo Centro di Convention,
la nuova Pinacoteca d’Arte, fresca i inaugurazione.
Non solo ottenni il consenso ma,
con il Segretario della Cultura, si creò su due piedi un incontro d’arte con
altri 30 artisti della loro città!
Ero entusiasta anche perché,
avevo messo bene in chiaro, che i partecipanti all’esposizione avrebbero avuto
l’obbligo di donare l’opera presentata ai fini di una raccolta fondi per darearte
continuare i progetti in Brasile.
Arte, solidarietà e interscambio
internazionale, cosa volevo di più, a soli due anni dalla fondazione
dell’Associazione?
Con questo entusiasmo, invitai
artisti conosciuti e non, maestri e allievi, ai quali sono riconoscente per la
loro generosa disponibilità e fiducia nel progetto.
Trenta artisti, non tutti
genovesi, ma tutti abitanti di Genova, uniti per un’esposizione collettiva in
Brasile, attraverso un progetto di solidarietà.
L’arte può essere solidale.
Dipende dagli artisti.
E dalle occasioni che, come già
ho detto, non esistono.
Il criterio scelto per la
selezione dei 30 artisti, l’ho lasciato al mio istinto.
Con lui mi muovevo per il centro
storico, esplorando atelier e incontrando creatori d’arte, di diversi generi e
caratteristiche, ed il viaggio che intrapresi per questa ricerca fu davvero
un’avventura.
Uno solo dei 30 non era quello
che viene dichiarato artista ma un architetto, un famosissimo architetto.
Oserei dire l’Architetto per
eccellenza, essendo stato premiato anche con un Nobel!
Il suo studio è situato nel
lungomare di Genova e per me, suonare al suo citofono per chiedere la sua
partecipazione, fu un attimo.
E devo dire che la risposta
positiva fu davvero una sorpresa piena di gioia.
Una bozza del disegno originale
del bigo, l’ascensore del centro di Genova, da lui creato, faceva ora parte
delle 30 opere del nostro progetto!
E tra gli artisti che
parteciparono, voglio menzionare colui che incontrai poco tempo prima che
scomparisse, a 86 anni, nel gennaio del 2007.
Il maestro Emanuele Luzzati, che
generosamente si dispose a lasciarmi un’intervista in video e alcuni disegni
donati per la mostra.
Grazie Maestro.
Giuliano
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.