Capitolo 17- Favela
Indifferente a qualsiasi cosa che
potesse accadere sulla faccia della Terra, la Notte ed il Giorno continuavano a
susseguirsi, le formiche continuavano a raccogliere le piccole parti di cibo
cadute per la strada, il gatto cacciava il topo, mia zia pregava i Santi ed io,
con pazienza e fedeltà, aspettavo il ritorno di Giuliano, così come i
portoghesi hanno atteso il loro Re Sebastiano.
Fino ad oggi il Re portoghese non ha ancora fatto ritorno
dalla Guerra Santa, mentre quell’uomo stava sicuramente per arrivare.
Dopo tre lunghi mesi, mancavano
adesso pochissimi giorni al suo rientro ed io correvo senza fermarmi, per
sbrigare mille faccende, tutte inutili.
Stavo preparando delle piccole
sorprese, dovevo finire il nuovo mosaico di galline nella cucina, avevo dipinto
nuovamente l’intera facciata della sede e aggiunto un altro mosaico alla
finestra, cucito tutte le federe colorate per ogni sedia, costruito una rete
anti-zanzare, piena di rose bianche (bella, ma non molto efficace, perchè pareva
che le rose bianche piacessero anche alle zanzare).
Andavo anche alla ricerca di
ricette e di ingredienti per preparare pietanze saporite, anche se non sapevo
affatto cucinare.
Tutte queste erano le mie
priorità, alle quali mi dedicavo allegramente.
Molto meno allegramente mi
impegnavano gli incontri burocratici per le questioni dell’associazione.
Confesso che lo facevo solo
perché non esisteva nessun’altro che lo potesse fare al posto mio;
evidentemente non apparteneva alla mia natura.
Ero sempre distratta e non vedevo
l’ora che ogni riunione finisse, per essere finalmente libera.
Spesso i miei sensi si
addormentavano e solo dopo molte ore capivo ciò che era accaduto.
E accadde questo anche quando
consegnai il progetto proposto da Giuliano, per la mostra 30x30, al Segretario
della Cultura di Atibaia.
Ero soddisfatta e sorpresa della
sua generosa accoglienza ed immediata disponibilità nel realizzare
quest’interscambio.
Ero tanto felice che mi sfuggì un
piccolo dettaglio: il Segretario non avrebbe chiesto agli artisti la donazione
delle loro opere d’arte.
Solo molte ore dopo realizzai la
questione, con il solito disastroso ritardo.
Senza una partecipazione solidale
alla mostra, quale senso avrebbe avuto?
Pensai di ritornare subito alla
Segreteria ed impormi sul fatto che senza questa donazione la mostra non si
poteva realizzare.
Ma rimasi immobile come una
pietra.
Il Segretario conosceva Atibaia
tanto quanto me e sapeva benissimo che se avesse imposto l’obbligo della
donazione, pochi artisti avrebbero partecipato e forse si sarebbe rischiato un
boicottaggio.
La paura bloccò tutto il mio
corpo.
Sapevo che tutti gli artisti
italiani avevano già donato la loro opera e ci contavano con la realizzazione
dell’evento.
Nel dubbio non feci nulla e
scelsi di aspettare l’arrivo di Giuliano per risolvere questo infelice
“dettaglio”.
Ma quell’uomo arrivò dentro ad un
uragano.
Afferrai al volo l’intensa
felicità di rivederlo, per poi essere trascinata via nella sua tempesta.
Per cominciare, la compagnia
aerea del suo volo aveva perso il suo bagaglio e per diversi giorni abbiamo
vissuto come funamboli, finchè le valigie non furono ritrovate e riconsegnate a
domicilio.
Comunque fosse, lui subito
cominciò a muoversi per la città.
Aveva mille idee, tanta energia e
poco tempo.
Scoprimmo che il progetto delle
madri-cucitrici della favela, di realizzare una cooperativa grazie a un
promesso sostegno del Comune, era fallito, e molto si deve al fatto che il loro
gruppo non era riuscito a formare un vero e proprio collettivo e, senza questa
sinergia, non potevano affrontare le forze ostili.
Continuammo a restare vicini a
loro per creare delle attività di sostegno e, in particolare, stabilimmo un
legame con una di loro, quella alla quale luccicavano gli occhi ogni volta che
pensava di cambiare la propria vita.
Attraverso questa donna abbiamo
veramente conosciuto quel quartiere estremo e raggiunto tanti bambini.
Lei era una porta di quel mondo parallelo, per noi
irraggiungibile, e grazie alla sua ospitalità e conoscenza cominciammo a
intravedere una misteriosa tessitura.
Tutti i bambini degli
orfanotrofi, la maggioranza delle adolescenti-madri di una “Casa di
Accoglienza”, tutti i giovani disadattati, insomma tutte le persone che darearte
conosceva, avevano un destino in comune:
appartenevano a quella favela.
E un disegno invisibile si formò
ai nostri occhi: le ragazze abbandonate e prive d’ogni diritto, in tenera età
partorivano i loro bambini, che sarebbero a loro volta stati abbandonati e
accolti da orfanotrofi o mantenuti in favela, cresciuti in mezzo alla povertà e
alla violenza per poi, adolescenti, diventare precoci genitori di altri
bambini…
In tutto questo tempo dedicato
alle Entità di accoglienza e agli orfanotrofi, soltanto adesso eravamo giunti a
vedere con chiarezza l’origine di quel cerchio senza fine.
Eravamo sbalorditi e come dice un
detto: “Quando si comprende qualcosa, arriva il Maestro”.
Fu cosi anche per noi.
Un giorno in un bar, Giuliano
conobbe un uomo perso e questo, improvvisamente, decise di regalargli qualcosa.
Dalla sacca del suo immenso
vuoto, estrasse una perla: gli presentò il “Maestro”.
Al contrario di quelle figure di
“Maestri” con la barba bianca e lunga, con il viso impassibile, investiti da
poteri sconosciuti e improbabili, il nostro era un vero “Maestro” semplicemente
perché aveva con sé le chiavi giuste per tutto quello che stavamo cercando in
quel momento.
Era alto, con la pelle nera,
imponente e con una voce da basso tenore.
Girava per la città con un camion
blu per raccogliere i residui di viveri dei supermercati e merce scaduta.
Gli veniva concesso perché, oltre
ad essere utile perché puliva gratuitamente il retro dei grandi magazzini, era
colui che eliminava ciò che non era più possibile vendere.
In verità non esisteva la minima
solidarietà da parte dei supermercati.
Il suo compito era caricare il
massimo possibile dei resti raccogliendo anche cartone e altri materiali di
scarto.
Lo faceva sorridendo, con grande
eleganza ed intraprendenza.
Ritornava alla favela e nella sua
casa-baracca sistemava il raccolto per poi distribuirlo in gran parte alla
gente, armato di un microfono, di una musica di fondo e della parola di Dio.
Era un curioso spettacolo da
vedere.
Le verdure raccolte per terra, i
legumi già abbastanza sofferti, i succhi di frutta, sughi e altri prodotti
industriali tutti scaduti e tanta gente che arrivava da tutte le parti del
quartiere e in continuazione, per prendere un pò di quel prezioso tesoro.
Il panorama era desolante, il
garage dove venivano radunate le merci era pieno zeppo di topi che
gironzolavano intorno ai cani randagi che non si potevano più definire cani.
E lo stesso valeva per quelle
persone, prive di diritti umani.
Il nostro “Maestro” aveva tante
ambizioni e molti altri progetti.
Con l’aiuto di un farmacista
voleva raccogliere anche le medicine scadute, per distribuirle gratuitamente.
Era fertile, non solo di idee e
azioni, ma aveva anche un numero incredibile di figli, tutti sparsi, e tante
donne diverse.
Lui, per me, era la
personificazione del Brasile.
Forte, pieno di risorse, fertile,
generoso, solidale, ma povero, violento, arrabbiato perché privo di possibilità
per realizzare e per questo abbandona i propri figli al loro destino.
Giuliano era affascinato da
quest’uomo.
Katia
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