INFORMAZIONI SU QUESTO LIBRO-BLOG

Questa storia narra di dieci anni vissuti da Katia e da Giuliano.
Il racconto è un "binario", costruito a "doppi capitoli", scritti individualmente dai due autori.
Ogni anno raccontato, dal 2003 al 2013, racchiude cinque capitoli, al termine dei quali,
si conclude un paragrafo e sono pubblicate delle immagini inerenti gli stessi capitoli.
Il libro, nel suo complesso, avrà pertanto 10 paragrafi, composti da 5 doppi capitoli ciascuno.
La pubblicazione di ogni nuovo capitolo avviene senza un tempo determinato, essendo attualmente in fase di creazione.

p.s.: non possiamo essere responsabili della traduzione tramite google che, purtroppo, risulta NON essere completamente compatibile con il testo originale in lingua italiana.

contatto:emaildiecianni@gmail.com
Grazie per seguirci.
Katia & Giuliano

domenica 25 maggio 2014

Capitolo 17- Favela


Capitolo 17- Favela


Indifferente a qualsiasi cosa che potesse accadere sulla faccia della Terra, la Notte ed il Giorno continuavano a susseguirsi, le formiche continuavano a raccogliere le piccole parti di cibo cadute per la strada, il gatto cacciava il topo, mia zia pregava i Santi ed io, con pazienza e fedeltà, aspettavo il ritorno di Giuliano, così come i portoghesi hanno atteso il loro Re Sebastiano.
Fino ad oggi il Re portoghese non ha ancora fatto ritorno dalla Guerra Santa, mentre quell’uomo stava sicuramente per arrivare.
Dopo tre lunghi mesi, mancavano adesso pochissimi giorni al suo rientro ed io correvo senza fermarmi, per sbrigare mille faccende, tutte inutili.
Stavo preparando delle piccole sorprese, dovevo finire il nuovo mosaico di galline nella cucina, avevo dipinto nuovamente l’intera facciata della sede e aggiunto un altro mosaico alla finestra, cucito tutte le federe colorate per ogni sedia, costruito una rete anti-zanzare, piena di rose bianche (bella, ma non molto efficace, perchè pareva che le rose bianche piacessero anche alle zanzare).
Andavo anche alla ricerca di ricette e di ingredienti per preparare pietanze saporite, anche se non sapevo affatto cucinare.
Tutte queste erano le mie priorità, alle quali mi dedicavo allegramente.
Molto meno allegramente mi impegnavano gli incontri burocratici per le questioni dell’associazione.
Confesso che lo facevo solo perché non esisteva nessun’altro che lo potesse fare al posto mio; evidentemente non apparteneva alla mia natura.
Ero sempre distratta e non vedevo l’ora che ogni riunione finisse, per essere finalmente libera.
Spesso i miei sensi si addormentavano e solo dopo molte ore capivo ciò che era accaduto.
E accadde questo anche quando consegnai il progetto proposto da Giuliano, per la mostra 30x30, al Segretario della Cultura di Atibaia.
Ero soddisfatta e sorpresa della sua generosa accoglienza ed immediata disponibilità nel realizzare quest’interscambio.
Ero tanto felice che mi sfuggì un piccolo dettaglio: il Segretario non avrebbe chiesto agli artisti la donazione delle loro opere d’arte.
Solo molte ore dopo realizzai la questione, con il solito disastroso ritardo.
Senza una partecipazione solidale alla mostra, quale senso avrebbe avuto?
Pensai di ritornare subito alla Segreteria ed impormi sul fatto che senza questa donazione la mostra non si poteva realizzare.
Ma rimasi immobile come una pietra.
Il Segretario conosceva Atibaia tanto quanto me e sapeva benissimo che se avesse imposto l’obbligo della donazione, pochi artisti avrebbero partecipato e forse si sarebbe rischiato un boicottaggio.
La paura bloccò tutto il mio corpo.
Sapevo che tutti gli artisti italiani avevano già donato la loro opera e ci contavano con la realizzazione dell’evento.
Nel dubbio non feci nulla e scelsi di aspettare l’arrivo di Giuliano per risolvere questo infelice “dettaglio”.

Ma quell’uomo arrivò dentro ad un uragano.
Afferrai al volo l’intensa felicità di rivederlo, per poi essere trascinata via nella sua tempesta.
Per cominciare, la compagnia aerea del suo volo aveva perso il suo bagaglio e per diversi giorni abbiamo vissuto come funamboli, finchè le valigie non furono ritrovate e riconsegnate a domicilio.
Comunque fosse, lui subito cominciò a muoversi per la città.
Aveva mille idee, tanta energia e poco tempo.

Scoprimmo che il progetto delle madri-cucitrici della favela, di realizzare una cooperativa grazie a un promesso sostegno del Comune, era fallito, e molto si deve al fatto che il loro gruppo non era riuscito a formare un vero e proprio collettivo e, senza questa sinergia, non potevano affrontare le forze ostili.
Continuammo a restare vicini a loro per creare delle attività di sostegno e, in particolare, stabilimmo un legame con una di loro, quella alla quale luccicavano gli occhi ogni volta che pensava di cambiare la propria vita.
Attraverso questa donna abbiamo veramente conosciuto quel quartiere estremo e raggiunto tanti bambini.

Lei era una porta di quel mondo parallelo, per noi irraggiungibile, e grazie alla sua ospitalità e conoscenza cominciammo a intravedere una misteriosa tessitura.
Tutti i bambini degli orfanotrofi, la maggioranza delle adolescenti-madri di una “Casa di Accoglienza”, tutti i giovani disadattati, insomma tutte le persone che darearte conosceva, avevano un destino in comune: appartenevano a quella favela.
E un disegno invisibile si formò ai nostri occhi: le ragazze abbandonate e prive d’ogni diritto, in tenera età partorivano i loro bambini, che sarebbero a loro volta stati abbandonati e accolti da orfanotrofi o mantenuti in favela, cresciuti in mezzo alla povertà e alla violenza per poi, adolescenti, diventare precoci genitori di altri bambini…
In tutto questo tempo dedicato alle Entità di accoglienza e agli orfanotrofi, soltanto adesso eravamo giunti a vedere con chiarezza l’origine di quel cerchio senza fine.
Eravamo sbalorditi e come dice un detto: “Quando si comprende qualcosa, arriva il Maestro”.
Fu cosi anche per noi.
Un giorno in un bar, Giuliano conobbe un uomo perso e questo, improvvisamente, decise di regalargli qualcosa.
Dalla sacca del suo immenso vuoto, estrasse una perla: gli presentò il “Maestro”.
Al contrario di quelle figure di “Maestri” con la barba bianca e lunga, con il viso impassibile, investiti da poteri sconosciuti e improbabili, il nostro era un vero “Maestro” semplicemente perché aveva con sé le chiavi giuste per tutto quello che stavamo cercando in quel momento.
Era alto, con la pelle nera, imponente e con una voce da basso tenore.
Girava per la città con un camion blu per raccogliere i residui di viveri dei supermercati e merce scaduta.
Gli veniva concesso perché, oltre ad essere utile perché puliva gratuitamente il retro dei grandi magazzini, era colui che eliminava ciò che non era più possibile vendere.
In verità non esisteva la minima solidarietà da parte dei supermercati.
Il suo compito era caricare il massimo possibile dei resti raccogliendo anche cartone e altri materiali di scarto.
Lo faceva sorridendo, con grande eleganza ed intraprendenza.
Ritornava alla favela e nella sua casa-baracca sistemava il raccolto per poi distribuirlo in gran parte alla gente, armato di un microfono, di una musica di fondo e della parola di Dio.
Era un curioso spettacolo da vedere.
Le verdure raccolte per terra, i legumi già abbastanza sofferti, i succhi di frutta, sughi e altri prodotti industriali tutti scaduti e tanta gente che arrivava da tutte le parti del quartiere e in continuazione, per prendere un pò di quel prezioso tesoro.
Il panorama era desolante, il garage dove venivano radunate le merci era pieno zeppo di topi che gironzolavano intorno ai cani randagi che non si potevano più definire cani.
E lo stesso valeva per quelle persone, prive di diritti umani.

Il nostro “Maestro” aveva tante ambizioni e molti altri progetti.
Con l’aiuto di un farmacista voleva raccogliere anche le medicine scadute, per distribuirle gratuitamente.
Era fertile, non solo di idee e azioni, ma aveva anche un numero incredibile di figli, tutti sparsi, e tante donne diverse.
Lui, per me, era la personificazione del Brasile.
Forte, pieno di risorse, fertile, generoso, solidale, ma povero, violento, arrabbiato perché privo di possibilità per realizzare e per questo abbandona i propri figli al loro destino.
Giuliano era affascinato da quest’uomo.

  
Katia




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