INFORMAZIONI SU QUESTO LIBRO-BLOG

Questa storia narra di dieci anni vissuti da Katia e da Giuliano.
Il racconto è un "binario", costruito a "doppi capitoli", scritti individualmente dai due autori.
Ogni anno raccontato, dal 2003 al 2013, racchiude cinque capitoli, al termine dei quali,
si conclude un paragrafo e sono pubblicate delle immagini inerenti gli stessi capitoli.
Il libro, nel suo complesso, avrà pertanto 10 paragrafi, composti da 5 doppi capitoli ciascuno.
La pubblicazione di ogni nuovo capitolo avviene senza un tempo determinato, essendo attualmente in fase di creazione.

p.s.: non possiamo essere responsabili della traduzione tramite google che, purtroppo, risulta NON essere completamente compatibile con il testo originale in lingua italiana.

contatto:emaildiecianni@gmail.com
Grazie per seguirci.
Katia & Giuliano

domenica 25 maggio 2014

Capitolo 17- Favela


Capitolo 17- Favela


Indifferente a qualsiasi cosa che potesse accadere sulla faccia della Terra, la Notte ed il Giorno continuavano a susseguirsi, le formiche continuavano a raccogliere le piccole parti di cibo cadute per la strada, il gatto cacciava il topo, mia zia pregava i Santi ed io, con pazienza e fedeltà, aspettavo il ritorno di Giuliano, così come i portoghesi hanno atteso il loro Re Sebastiano.
Fino ad oggi il Re portoghese non ha ancora fatto ritorno dalla Guerra Santa, mentre quell’uomo stava sicuramente per arrivare.
Dopo tre lunghi mesi, mancavano adesso pochissimi giorni al suo rientro ed io correvo senza fermarmi, per sbrigare mille faccende, tutte inutili.
Stavo preparando delle piccole sorprese, dovevo finire il nuovo mosaico di galline nella cucina, avevo dipinto nuovamente l’intera facciata della sede e aggiunto un altro mosaico alla finestra, cucito tutte le federe colorate per ogni sedia, costruito una rete anti-zanzare, piena di rose bianche (bella, ma non molto efficace, perchè pareva che le rose bianche piacessero anche alle zanzare).
Andavo anche alla ricerca di ricette e di ingredienti per preparare pietanze saporite, anche se non sapevo affatto cucinare.
Tutte queste erano le mie priorità, alle quali mi dedicavo allegramente.
Molto meno allegramente mi impegnavano gli incontri burocratici per le questioni dell’associazione.
Confesso che lo facevo solo perché non esisteva nessun’altro che lo potesse fare al posto mio; evidentemente non apparteneva alla mia natura.
Ero sempre distratta e non vedevo l’ora che ogni riunione finisse, per essere finalmente libera.
Spesso i miei sensi si addormentavano e solo dopo molte ore capivo ciò che era accaduto.
E accadde questo anche quando consegnai il progetto proposto da Giuliano, per la mostra 30x30, al Segretario della Cultura di Atibaia.
Ero soddisfatta e sorpresa della sua generosa accoglienza ed immediata disponibilità nel realizzare quest’interscambio.
Ero tanto felice che mi sfuggì un piccolo dettaglio: il Segretario non avrebbe chiesto agli artisti la donazione delle loro opere d’arte.
Solo molte ore dopo realizzai la questione, con il solito disastroso ritardo.
Senza una partecipazione solidale alla mostra, quale senso avrebbe avuto?
Pensai di ritornare subito alla Segreteria ed impormi sul fatto che senza questa donazione la mostra non si poteva realizzare.
Ma rimasi immobile come una pietra.
Il Segretario conosceva Atibaia tanto quanto me e sapeva benissimo che se avesse imposto l’obbligo della donazione, pochi artisti avrebbero partecipato e forse si sarebbe rischiato un boicottaggio.
La paura bloccò tutto il mio corpo.
Sapevo che tutti gli artisti italiani avevano già donato la loro opera e ci contavano con la realizzazione dell’evento.
Nel dubbio non feci nulla e scelsi di aspettare l’arrivo di Giuliano per risolvere questo infelice “dettaglio”.

Ma quell’uomo arrivò dentro ad un uragano.
Afferrai al volo l’intensa felicità di rivederlo, per poi essere trascinata via nella sua tempesta.
Per cominciare, la compagnia aerea del suo volo aveva perso il suo bagaglio e per diversi giorni abbiamo vissuto come funamboli, finchè le valigie non furono ritrovate e riconsegnate a domicilio.
Comunque fosse, lui subito cominciò a muoversi per la città.
Aveva mille idee, tanta energia e poco tempo.

Scoprimmo che il progetto delle madri-cucitrici della favela, di realizzare una cooperativa grazie a un promesso sostegno del Comune, era fallito, e molto si deve al fatto che il loro gruppo non era riuscito a formare un vero e proprio collettivo e, senza questa sinergia, non potevano affrontare le forze ostili.
Continuammo a restare vicini a loro per creare delle attività di sostegno e, in particolare, stabilimmo un legame con una di loro, quella alla quale luccicavano gli occhi ogni volta che pensava di cambiare la propria vita.
Attraverso questa donna abbiamo veramente conosciuto quel quartiere estremo e raggiunto tanti bambini.

Lei era una porta di quel mondo parallelo, per noi irraggiungibile, e grazie alla sua ospitalità e conoscenza cominciammo a intravedere una misteriosa tessitura.
Tutti i bambini degli orfanotrofi, la maggioranza delle adolescenti-madri di una “Casa di Accoglienza”, tutti i giovani disadattati, insomma tutte le persone che darearte conosceva, avevano un destino in comune: appartenevano a quella favela.
E un disegno invisibile si formò ai nostri occhi: le ragazze abbandonate e prive d’ogni diritto, in tenera età partorivano i loro bambini, che sarebbero a loro volta stati abbandonati e accolti da orfanotrofi o mantenuti in favela, cresciuti in mezzo alla povertà e alla violenza per poi, adolescenti, diventare precoci genitori di altri bambini…
In tutto questo tempo dedicato alle Entità di accoglienza e agli orfanotrofi, soltanto adesso eravamo giunti a vedere con chiarezza l’origine di quel cerchio senza fine.
Eravamo sbalorditi e come dice un detto: “Quando si comprende qualcosa, arriva il Maestro”.
Fu cosi anche per noi.
Un giorno in un bar, Giuliano conobbe un uomo perso e questo, improvvisamente, decise di regalargli qualcosa.
Dalla sacca del suo immenso vuoto, estrasse una perla: gli presentò il “Maestro”.
Al contrario di quelle figure di “Maestri” con la barba bianca e lunga, con il viso impassibile, investiti da poteri sconosciuti e improbabili, il nostro era un vero “Maestro” semplicemente perché aveva con sé le chiavi giuste per tutto quello che stavamo cercando in quel momento.
Era alto, con la pelle nera, imponente e con una voce da basso tenore.
Girava per la città con un camion blu per raccogliere i residui di viveri dei supermercati e merce scaduta.
Gli veniva concesso perché, oltre ad essere utile perché puliva gratuitamente il retro dei grandi magazzini, era colui che eliminava ciò che non era più possibile vendere.
In verità non esisteva la minima solidarietà da parte dei supermercati.
Il suo compito era caricare il massimo possibile dei resti raccogliendo anche cartone e altri materiali di scarto.
Lo faceva sorridendo, con grande eleganza ed intraprendenza.
Ritornava alla favela e nella sua casa-baracca sistemava il raccolto per poi distribuirlo in gran parte alla gente, armato di un microfono, di una musica di fondo e della parola di Dio.
Era un curioso spettacolo da vedere.
Le verdure raccolte per terra, i legumi già abbastanza sofferti, i succhi di frutta, sughi e altri prodotti industriali tutti scaduti e tanta gente che arrivava da tutte le parti del quartiere e in continuazione, per prendere un pò di quel prezioso tesoro.
Il panorama era desolante, il garage dove venivano radunate le merci era pieno zeppo di topi che gironzolavano intorno ai cani randagi che non si potevano più definire cani.
E lo stesso valeva per quelle persone, prive di diritti umani.

Il nostro “Maestro” aveva tante ambizioni e molti altri progetti.
Con l’aiuto di un farmacista voleva raccogliere anche le medicine scadute, per distribuirle gratuitamente.
Era fertile, non solo di idee e azioni, ma aveva anche un numero incredibile di figli, tutti sparsi, e tante donne diverse.
Lui, per me, era la personificazione del Brasile.
Forte, pieno di risorse, fertile, generoso, solidale, ma povero, violento, arrabbiato perché privo di possibilità per realizzare e per questo abbandona i propri figli al loro destino.
Giuliano era affascinato da quest’uomo.

  
Katia




domenica 18 maggio 2014

Capitolo 16 – Fiducia


Capitolo 16 –  Fiducia

E’ un freddo giorno di gennaio del 2006, quando Katia si deve preparare al suo ritorno in Brasile.
I bagagli che porterà con sè sono le opere dei suoi concittadini che, molto pesanti, renderanno poco confortevole il suo viaggio.
L’accompagnai a Milano in treno, la sera prima del volo previsto per l’alba.
La lasciai sola in tarda serata, a malincuore, per l’ennesimo sacrificio al quale era sottoposta.
Vederla affrontare gli ostacoli e le proprie paure, mi procurava due emozioni distinte.
Una era quella di essere felice di avere a fianco una donna di tale fattura, generosa e coraggiosa.
L’altra era procurata dalla consapevolezza del mio limite nel proteggerla, che mi causava preoccupazione per lei, che cercavo di dissolvere confidando nelle sue capacità.
Non sempre ci riuscivo.
Sapevamo che l’avrei raggiunta dopo pochi mesi, ma quel giorno io ritornai a Genova e lei ritornò ad Atibaia.
Eravamo nuovamente separati dall’oceano.

Molto del tempo che trascorsi in attesa di ritrovare Katia, lo passammo comunicando al telefono e attraverso internet.
Qui di seguito, ci sono due delle nostre e-mail nella loro versione originale, scritte e inviate poco dopo il suo arrivo in Brasile, che possono essere interessanti ai fini del racconto per osservare più da vicino un piccolo frammento di quel nostro particolare momento:

GIULIANO: inviata il 10/01/2006

- Leggo la tua bella lettera di sole e non riesco a rispondere con la luce, ma con le solite tenebre che qui in questa città d'italia mi oscurano il cuore.
Sono in un brutto studio fotografico, pieno di energie dolorose e con il cane “Briciola”.
Abbandonati entrambi dalla luce del sole.
Qui un solo termosifone scalda i nostri peli.
Come spesso accade, mi sono alzato con il peso del corpo che appariva di altre atmosfere, pesante e rigido.
Come molti altri giorni mi sono rallentato.
La tua presenza non ha nessun tipo di influenza in questo, e nemmeno la tua assenza. Come si sapeva, non è più merito di nessuno o colpa di chissà chi, se noi non abbiamo forze.
Forze che si scatenano in rabbie e malattie interiori se non spostano ciò per le quali sono state create.
Il loro sforzo si moltiplica e l'attrito che si crea diviene insopportabile alla mente di un uomo.
Così la notte leggo.
Così il giorno cerco giustificazione perchè non riesco a spostare il corpo.
La mattina mi alzo tardi.
E non ho avuto il tempo di fare le cose che il giorno prima mi proponevo a gran voce di fare.
Strano l'atteggiamento di questo "guerriero" di terre desolate.
Strano, ma davvero sta combattendo.
Scrivendo queste parole, lotta con le sue forze che sembrano sempre essere le ultime.
Lamentando come solo un genovese sa fare, difende la propria pelle dagli attacchi feroci dei propri morsi.
E continua nell'assoluta cecità un viaggio di inspiegabile dolore.
Le soluzioni sono a portata di mano, è vero, ma chi ha le mani tremanti per una innata timidezza, per un’artrosi deformante o per un morbo mortale, non ha facilità nel raccoglierle.
Credo fermamente che, in questo, stia molto della bellezza della vita.
Conto molto su di te.
Che stai riacquistando fiducia e energia per muovere le cose del mondo.
Conto su di te per continuare un percorso fatto di Amore.
Conto su di te perchè sei Katia, in queso mondo, in questa Epoca, in questa Vita.
Conto su di te.
Per Amore.
Andiamo avanti.
Io non mi fermerò.
Non mi fermerò Mai.
Un piccolo soldato in terre di conquista.

KATIA: inviata il giorno successivo, 11/01/2006
Ho appena letto la tua e-mail…
Non ti posso dire altro che puoi contare su di me per tutto, lo sai…
Lo sai anche che se potessi io,  ti scaldavo il cuore, ma non so come fare...
Soltanto posso pensarti con amore e mandarti pensieri di affetto,
Sappi che ti amo tanto e mi muovo qua per prepararti tutto di bello per quando arrivi. Per te, per me, per tutto quanto vogliamo fare.
C´e da dire che qua per me é piu´facile, con questo caldo e con l’energia del Brasile, non perché é un posto più buono, che chissa chi, ma perché é la mia casa… riconosco le montagne e l´odore che mi dà forza e vado avanti.
Non ti preoccupare, se puoi, continua come puoi fare.
Ci siamo.

In Italia, una volontaria darearte di Torino chiese di realizzare un’esposizione delle opere di Katia, i volontari darearte di Teramo chiesero di realizzare una promozione delle attività dell’associazione e un volontario darearte di Genova chiese di realizzare una promozione delle attività darearte all’interno dei grandi stabilimenti dove lavorava.
Sono profondamente grato a tutti coloro che si sono esposti e si sono attivati, con la fiducia e con il rispetto per ciò che stavamo creando.
Sono profondamente grato a tutti coloro che hanno risposto, che hanno detto con sincerità: “si, Vi credo” perché ci hanno dato la forza per continuare.

La fiducia era il tassello, di me, più delicato che potevo esporre.
Nell’esperienza di darearte mi sono dovuto confrontare con la fiducia del prossimo nei miei riguardi.
È stato molto arduo, molto difficile, questo confronto.
Fino al giorno che capii che la fiducia non doveva arrivare dagli altri.
Era una questione che dovevo risolvere in me.
Io avevo la necessità di fidarmi di me.
Io dovevo imparare la fiducia.

Si può immaginare quanto si può soffrire, se centinaia di sguardi estranei sono diffidenti e avversi perchè vuoi fare qualcosa per qualcun altro, gratuitamente.
Per molti, crederci è davvero difficile, posso anche capirlo.
Infatti non critico nessuno di quei commenti o, peggio, di quei silenzi insinuanti che riuscivano a creare dubbi anche in me stesso!
A volte, pensai che ciò che stavo facendo era una menzogna.
Perché credevo in quelle voci e in quei silenzi, e dimenticavo di me e di ciò che realmente stava accadendo.
Lasciamo le voci e i silenzi oscuri fuori di noi, perché questi abissi non ci appartengono.
Facciamo della nostra Casa solo ciò che vogliamo essere, liberi dai rumori e dai sussurri.
Restiamo sotto la luce della nostra Casa, del nostro reale Sogno.

Raggiungere questo equilibrio fu il primo passo per affrontare l’avventura del progetto che chiamai 30x30.
Grazie a un momento di follia visionaria, decisi di portare con me, in Brasile, 30 artisti di Genova; non fisicamente ma attraverso le loro opere, per rappresentare l’Arte della mia città natale dall’altro lato del mondo.
Attraverso Katia, chiesi ospitalità ad Atibaia per la realizzazione di una mostra di questo calibro, che avrebbe visto 30 opere di genovesi, del formato di 30cm.x 30cm., apparire nel nuovo Centro di Convention, la nuova Pinacoteca d’Arte, fresca i inaugurazione.
Non solo ottenni il consenso ma, con il Segretario della Cultura, si creò su due piedi un incontro d’arte con altri 30 artisti della loro città!
Ero entusiasta anche perché, avevo messo bene in chiaro, che i partecipanti all’esposizione avrebbero avuto l’obbligo di donare l’opera presentata ai fini di una raccolta fondi per darearte continuare i progetti in Brasile.
Arte, solidarietà e interscambio internazionale, cosa volevo di più, a soli due anni dalla fondazione dell’Associazione?

Con questo entusiasmo, invitai artisti conosciuti e non, maestri e allievi, ai quali sono riconoscente per la loro generosa disponibilità e fiducia nel progetto.
Trenta artisti, non tutti genovesi, ma tutti abitanti di Genova, uniti per un’esposizione collettiva in Brasile, attraverso un progetto di solidarietà.
L’arte può essere solidale.
Dipende dagli artisti.
E dalle occasioni che, come già ho detto, non esistono.

Il criterio scelto per la selezione dei 30 artisti, l’ho lasciato al mio istinto.
Con lui mi muovevo per il centro storico, esplorando atelier e incontrando creatori d’arte, di diversi generi e caratteristiche, ed il viaggio che intrapresi per questa ricerca fu davvero un’avventura.
Uno solo dei 30 non era quello che viene dichiarato artista ma un architetto, un famosissimo architetto.
Oserei dire l’Architetto per eccellenza, essendo stato premiato anche con un Nobel!
Il suo studio è situato nel lungomare di Genova e per me, suonare al suo citofono per chiedere la sua partecipazione, fu un attimo.
E devo dire che la risposta positiva fu davvero una sorpresa piena di gioia.
Una bozza del disegno originale del bigo, l’ascensore del centro di Genova, da lui creato, faceva ora parte delle 30 opere del nostro progetto!
E tra gli artisti che parteciparono, voglio menzionare colui che incontrai poco tempo prima che scomparisse, a 86 anni, nel gennaio del 2007.
Il maestro Emanuele Luzzati, che generosamente si dispose a lasciarmi un’intervista in video e alcuni disegni donati per la mostra.
Grazie Maestro.

Giuliano

domenica 11 maggio 2014

Capitolo 16 - Fiducia


Capitolo 16 - Fiducia

Il volo per il ritorno in Brasile, partiva alle sei del mattino da Milano.
Giuliano non aveva più la sua macchina perciò dipendevo unicamente dai treni, per arrivare all’aeroporto di Malpensa.
Però, come Cenerentola, anch’io ero prigioniera degli orari.
Non esisteva nessun treno che partisse da Genova verso Milano capace di farmi arrivare in tempo all’imbarco.
Non volevo perdere l’ora e vedere i miei vestiti diventare stracci e la mia carrozza trasformarsi in una zucca: una zucca con il tempo scaduto dalla Legge italiana!
Una zucca clandestina!
L’unico modo era partire da Genova la sera prima e questo significava dover passare tutta la notte all’aeroporto, con tutto quell’ingombrante bagaglio, e da sola.

Ormai non mi spaventavano più le porte che si aprivano da sole, nè le commesse italiane con il mento rivolto verso l’alto, che nervosamente sistemavano le rumorose tazzine di caffè.
Piano piano, cominciavo a capire quel mondo strano e poi avevo comunque passato uno splendido soggiorno in quel Paese tanto amato.
Insieme a quell’uomo avevo realizzato delle cose talmente belle che potevo permettermi un ultimo piccolo sacrificio.
Eravamo insieme in treno ed il paesaggio diventava sempre più brutto, man mano che ci  avvicinavamo a Milano.
Anche le persone diventavano sempre più grigie.

Giuliano aveva un pò di preoccupazione per la mia nottata all’aeroporto, ma tutta la sua concentrazione era rivolta ai progetti da svolgere in Brasile e si mise a raccomandare su tutto ciò che avrei dovuto fare al mio rientro.
Dopo il risultato positivo della mostra dei cinque artisti brasiliani a Genova, lui era pieno di coraggio e adesso voleva realizzare un interscambio ancora più grande: trenta artisti brasiliani e trenta genovesi riuniti in una mostra per scopi solidali.
Inoltre avremmo dovuto realizzare la mostra di “Sotto il cielo, Nuvole” nella gigantesca Città di Sao Paolo!
Sarebbe stato un passo importante per la nostra associazione e per lo sviluppo della nostra creatività.
Dovevo preparare tutto questo, prima del suo ritorno ad Atibaia previsto per l’aprile successivo.
Ma non sentivo nulla di quello che lui mi diceva.
Vedevo solo il movimento dei suoi baffi e sembrava veramente che fossimo come due trapezisti di circo che saltavano a vicenda.
Saltavamo da un Paese all’altro continuamente, con un oceano in mezzo e senza la rete di protezione!

Quando lui mi lasciò, quell’aeroporto divenne immediatamente brutto e avrei voluto corrergli dietro, ma questo impulso durò un attimo, poi la mia follia si calmò.
Sentii allegria per il mio coraggio perché era la prima volta che non avevo paura.
Da sola, cominciai a ridere della nostra storia.
Era la più strana storia d’amore che avevo mai vissuto, tra aeroporti, treni, olive e favelas brasiliane.
Una storia che mi procurava non solo un grande sviluppo personale, ma anche quello economico, perché ogni anno dovevo avere i soldi sufficienti per un nuovo biglietto aereo!
Senza contare le spese per le telefonate internazionali!
Nulla poteva oscurare quella felicità, per quello che stavo facendo, in quel momento.
Avevo una vita piena di sfide ed un lavoro capace di realizzare dei sogni collettivi.
Nemmeno le difficoltà, come le crescenti ostilità nella mia città, la convivenza con il fantasma della “Signora del Danubio”, le mie sensazioni di inadeguatezza ed i naturali conflitti relazionali con quell’uomo, erano sufficienti ad ostacolare il mio camminare.
Ero felice e riuscii a dormire abbracciata alle opere degli artisti brasiliani, da me custodite.

Appena arrivata in Brasile mi recai subito a Sao Paolo, per un appuntamento con l’Istituto Italiano di Cultura, un’ente collegato al Consolato Italiano in Brasile.
Camminavo con un mescolare d’allegria e paura.
Quando arrivai davanti al portone d’ingresso, non riuscii ad entrare.
Prima dovevo convincere il mio cuore a pulsare normalmente, mi sembrava che tutti potessero sentirlo da lontano, tanto era scombussolato.
Nonostante fosse un incontro di conferma per la realizzazione della mostra (Giuliano aveva già incontrato il responsabile in precedenza), fu per me molto difficile.
In quel luogo l’aria aveva l’odore del potere e, in un siffatto posto, non erano minimamente apprezzati i modi goffi e clowneschi di una persona, non era ammessa nessuna debolezza.
Comunque, e non so come, riuscii a raggiungere il mio obbiettivo!
Mi confermarono che la mostra si sarebbe fatta e fissarono un nuovo appuntamento con Giuliano, stabilito al suo arrivo a Sao Paulo!
Corsi fuori e saltellavo per la strada, ricolma di gioia!
E senza calpestare nessuna delle tante persone che dormivano per terra.

Mentre aspettavo l’autobus per il ritorno ad Atibaia aprii un giornale ed ebbi uno shock!
Il padrone del Circo, del mio Circo, quello che avevo inseguito per tutta l’Italia, il mio maestro, che ho sempre desiderato rivedere, in quel momento era a Sao Paulo per una serie di spettacoli!
Ed era ospite a casa di una mia vecchia amica dei tempi dell’università, che ora si occupava di produzione teatrale.
Era arrivato il momento di un lungo ed attesissimo incontro!?
Appena arrivata a casa, mi feci un bagno di rose bianche per calmare il cuore.
Erano cinque anni e mezzo che aspettavo di rivederlo, male ci riuscivo a credere!
Presi il telefono e mi cadde dalle mani, per il tremore.
Respirai e riprovai nuovamente.
Chiamai.
Rispose lei, la mia amica, con una voce dolce di plastica e metallo, e mi sembrò un’infermiera monosillabica, e poi attesi per un intervallo infinito: lei lo stava chiamando!
Sentii un mormorio, poi i passi di qualcuno che si avvicina e ancora un suono più vicino…pensai di buttare giù il telefono per la paura, ma per prima arrivò la voce del padrone del Circo.
Aveva un tono seccato e, in pochi secondi, mi congedò.

Rimasi con la cornetta in mano, per un tempo sospeso dal tempo.
Nella mia testa la sua voce seccata si contrastava a quell’altra, quella dei miei ricordi, quando sulla pista del circo annunciò che l’anno seguente avrebbero pagato, loro, il mio biglietto aereo affinché potessimo ritornare insieme e ridare al pubblico tanta gioia, come già avevo fatto.
Tutto il pubblico e loro stessi, applaudirono emozionati ed io piansi senza ritegno.
Adesso piangevo nuovamente, ma non di gioia, ma per lo schianto al suolo, senza preavviso.
E’ stato necessario un lungo tempo per rielaborare questa esperienza e cogliere la sua perla di saggezza, e ce l’ho fatta.
Come diceva mia nonna materna: “prima o poi, tutto esce nella cacca.”

Comunque, in quell’esatto momento, anche se molto confusa, intuivo che ero davanti a qualcuno che si era lasciato travolgere dalle acque del Potere.
E proprio nello stesso anno, avrei vissuto un impattante viaggio attraverso le forme del Potere.
Nei trecento giorni a venire, avrei conosciuto questa strana forza capace di mutare le persone e tutt’intorno.
Quante cose belle sono state stroncate davanti al desiderio di Potere.
Quante città inginocchiate davanti alla figura e ai desideri di un Sindaco, o piegate dagli interessi di un gruppo di poche persone.
Quante “favelas” esistono  in conseguenza a questo sistema di cose.
E, dentro le baracche, presto si impara a riconoscere e utilizzare il potere per sopravvivenza, sia con la via della violenza, sia con quella della religione.
Quanti progetti di arte deviati, appassiti, distrutti per i capricci di un singolo o di un pugno di artisti, di direttrici, di “responsabili” che comandano gli spazi e le attività.

Nel 2006 la nostra associazione ha fatto grandi passi di crescita.
E’arrivata a relazionarsi con importanti Entità, Amministrazioni Pubbliche e organizzazioni.
Ed è entrata nel fondo del cuore della favela.
Noi due abbiamo conosciuto tante persone ambiziose e ossessionate dal Potere.
Abbiamo scoperto, con amarezza, le forme meschine di potere presente in Enti “Filantropiche”, nelle scuole, in organizzazioni che vantavano scopi umanitari.
E, devo ammettere, anche noi siamo stati attratti da questa “forza”.
Così, ad un tratto, ci trovammo ad un bivio.
E scegliemmo l’aspetto positivo, del Potere.
Il potere come forza motrice, creativa e selvatica capace di connettere e non dividere le persone. Quello capace di creare, e non distruggere la Vita.
Quello capace di Umanità, di essere collegato con i desideri profondi delle Anime.
Questa scelta è stata decisiva per il futuro dell’associazione.
Con questo principio perdemmo tanti “amici” e collaboratori lungo il cammino e così come perdemmo le opportunità per un “prestigio sociale” e sostegni economici.

Ancora oggi, quando prendo un caffè insieme a Giuliano, lo guardo mentre lui non mi vede e mi sento felice per le nostre scelte.
Vicini e avvolti dal fumo delle tazzine bollenti, nel nostro silenzio condiviso, vedo che abbiamo perduto tanto, ed è stato fantastico perché, se non avessimo fatto questo, non avremo mai imparato a vivere.
Senza questo, non ci sarebbe rimasto nessuno spazio per l’Amore.


Katia

duemilaesei