Capitolo
3: Insieme
Aver incontrato Katia mi diede
l’occasione di poter continuare a credere che fosse possibile creare un’equipe
che portasse avanti i progetti solidali della darearte.
Ma qualcosa si stava muovendo in senso contrario a questa
forza positiva.
Accaddero molte cose in
opposizione a questo incontro ma, in qualche modo, riuscii a ottenere il suo
numero di telefono e un giorno la chiamai per prendere un appuntamento.
Così, dopo qualche giorno, ci
reincontrammo.
Ogni incontro era sempre carico
di energia, pieno di gioia e scintille.
Non capivo esattamente se, quando
le raccontavo dei miei progetti, dei miei sogni da realizzare nella sua città,
mi ascoltasse veramente, se mi capisse, se davvero le mie parole erano
interpretate giustamente e con raziocinio.
Era come trasportata da un vento
e a volte mi pareva di un entusiasmo eccessivo, fuor di ogni misura.
Era come farla felice ad ogni
incontro, perché ciò che le dicevo era esattamente compatibile con ciò che
avrebbe fatto lei.
Insomma, eravamo completamente in
sintonia, al punto che un conseguente avvicinamento era evidente, e fu
inevitabile.
Grazie al nostro incontro avevo
ripreso fiducia e ricominciai a muovermi, se mai mi fossi fermato, creando
immediatamente dei micro-progetti per testare la risposta della città e della
nostra sinergia.
In verità fu proprio con lei che
iniziai i progetti negli orfanotrofi, tutti i precedenti erano stati solo degli
incontri, delle visite di conoscenza.
Pertanto abbiamo cominciato a
lavorare insieme, in un orfanotrofio maschile.
In Atibaia, esistevano almeno un
paio di Entità che avevano l’usanza di dividere i bambini maschi dalle femmine,
anche nel caso di fratelli e sorelle, semplicemente per una comodità
organizzativa della struttura. (questo mi fu confessato, fuori dai denti,
dal presidente di un orfanotrofio).
Nel primo progetto creato per i
bambini, dovetti portare via Katia quasi a forza, perché non riusciva a
smettere di giocare con loro.
Aveva trasformato tutti in clown,
tutti avevano il naso rosso del pagliaccio,
Capii che avrei avuto bisogno di
molta pazienza, per fare in modo che Katia si accorgesse che esistono dei
margini organizzativi che migliorano le attività e i tempi, ma che lei non
considerava affatto.
Ma il suo talento e la sua forza
di volontà erano, insieme alla sua energica generosità, una vera bomba!
Forse, mai avevo incontrato prima
una persona con tanta voglia di fare e di vivere.
Forse solo dei bambini.
Forse solo dei bambini.
Impiegai del tempo per capire che
il connubio era semplice: Katia viveva l’infanzia.
E io potevo solo accompagnarla.
Insieme seguitammo a creare
progetti, condividendoli anche con altri volontari, che comunque rimasero
sempre molto rari.
Andammo in una comunità di
giovani cattolici che stavano costruendo la loro Chiesa, con le loro uniche
forze e con loro, e per loro, inventammo un progetto che potesse rinforzarli,
dargli coraggio.
La scuola e le capacità teatrali
di Katia furono propizie.
Mentre io coordinavo il progetto,
lei insegnava ad essere più sciolti e fiduciosi, dinanzi al pubblico di fedeli
che dovevano affrontare ogni domenica.
Fu un successo straordinario.
Andammo in un altro orfanotrofio,
quello femminile, per regalare allegria e incontri didattici attraverso il
disegno.
Meravigliose, mai dimenticate
bambine.
Andammo in una comunità che
offriva il pasto gratuito a bambini, in un quartiere molto povero e pericoloso,
dove inventammo un piccolo corso di cartapesta per i bambini e i ragazzi.
Esperienza molto intensa.
Il corso di cartapesta lo volemmo
donare anche ai bambini dell’orfanotrofio maschile, perciò ci rividero tornare
ancora tra loro.
Fantastico!
Senza parlare di tutti gli
incontri, le esperienze, le emozioni, le difficoltà, le peripezie e le
impotenze che abbiamo incontrato in questo seppur breve percorso.
Come posso raccontare di ciò che
ho raccolto, in questo “salto quantico” avvenuto in un breve spazio temporale,
ma tanto pieno di accadimenti ed esperienze che nemmeno io sapevo come fossi
riuscito a dirigere senza esserne travolto.
Non ho parole per questo, davvero.
Mai le ho avute, e nemmeno ora, a
distanza di dieci anni.
Forse, conobbi veramente Katia
quando la vidi con il naso rosso del suo clown.
Era verso la fine della mia
permanenza in Brasile, in un suo spettacolo organizzato presso una scuola
municipale, che regalava a tutti gli allievi dell’Istituto.
Come parte del pubblico, mi
sedetti in prima fila, in mezzo a tanti giovani studenti, in attesa di vedere
in cosa poteva sorprendermi la ragazza che avevo incontrato poco tempo prima e
con la quale avevo vissuto momenti indimenticabili.
Ma lo straordinario, lo avrei
visto da lì a poco.
Da una finestra e gettandosi al
suolo senza preoccuparsi della gravità, uscì un clown completo di costume, naso
rosso e parrucca arancione.
Una musica di sottofondo accompagnava
il suo ciondolarsi e le sue gag, che lasciavano tutti, dico tutti, a bocca
aperta.
Io non credevo ai miei occhi,
perché le folli acrobazie e cadute, oltre alle risate, provocavano sussulti di
preoccupazione per l’incolumità fisica del clown.
E lei era un’altra cosa, che non
posso chiamare persona, dato che era più un personaggio, una figura di un’altra
dimensione, un cartone animato vivente, qualcuno che non avevo mai visto, ma
che mi impressionava tantissimo.
Il suo talento era enorme, tanto
quanta l’energia che provocava al suo intorno.
E a bocca aperta assistii a tutto
lo show, applaudendo alla fine, felice per aver conosciuto colei che era capace
di creare questa Magia straordinaria.
Alla fine dello spettacolo, dopo
i meritati applausi di successo e ammirazione, mi congratulai con lei e subito
mi preoccupai nel vederla zoppicante.
Aveva le gambe colme di lividi, così prima di dirle quanto fosse stata incosciente nel suo funambolico show, pensai come poterla aiutare per medicarsi le contusioni.
Aveva le gambe colme di lividi, così prima di dirle quanto fosse stata incosciente nel suo funambolico show, pensai come poterla aiutare per medicarsi le contusioni.
L’accompagnai in una farmacia e
poi a casa, ringraziandola per ciò che aveva saputo donare.
Katia avrebbe realizzato ancora
una volta quello stesso spettacolo, ma solo dopo la mia partenza, per
raccogliere dei fondi, finalizzati all’acquisto di materiali utili agli
incontri con i bambini, che lei, senza di me ma per darearte, avrebbe
continuato a fare.
La nostra complicità era solo all’inizio.
Avevamo sperimentato ciò che
volevamo fare, ciò che volevamo condividere.
Avevamo conosciuto bambini con
storie che non si possono raccontare, giocato con loro e visti finalmente
sorridere.
Avevamo toccato le loro mani,
stretto i loro corpicini, in abbracci di affetto sincero.
Avevamo saltato, riso, parlato e ballato con bambine che non sapevano di essere ancora delle bambine.
Avevamo saltato, riso, parlato e ballato con bambine che non sapevano di essere ancora delle bambine.
Avevamo ascoltato i loro sogni e
le loro speranze, i loro incubi e le loro tristezze.
Insieme avevamo spostato tante cose, Vite comprese.
Insieme avevamo spostato tante cose, Vite comprese.
In così breve tempo…
Giuliano