Capitolo 9: In viaggio – parte
1
Era arrivata la buona stagione.
Faceva caldo e finalmente le mie
scarpe di tessuto avevano un senso.
Eravamo pronti a partire per un
viaggio e mentre lui riempiva la macchina di cose utili, io avevo una
sensazione di Natale, di festa e di regali inaspettati.
E fu veramente un grande regalo.
Il viaggio più vasto che io mai
avessi fatto.
Non necessariamente in relazione
ai chilometri percorsi, ma per la diversità ed immensità di cose sconosciute e
belle che si spalancarono davanti a me, in un breve periodo di tempo.
Fino ad oggi non riesco a mettere
in fila questi ricordi.
Ognuno va per conto suo a suo
piacimento, e qualcuno non appare nemmeno all’appello.
Non sapevo nulla sul nostro
itinerario ed anche se lui mi avesse svelato qualcosa, non sarei stata capace
di capire.
Non avevo alcuna conoscenza sulle
regioni italiane e davvero non potevo immaginare come fossero. Quale
immaginazione sarebbe stata tanto visionaria da creare un Paese così bello?
E con quale ingegno uno scrittore
avrebbe creato un tale fitto intreccio di Regioni tanto diverse tra loro?
Davvero mi è sembrato di visitare
tantissimi Paesi in un solo viaggio.
Siamo partiti e finalmente vidi
Genova scomparire senza salutarmi.
Chissà se le altre città italiane
erano anche loro stregate?
Eravamo diretti in Toscana e la
prima sosta sarebbe stata dalla madre di Giuliano.
La volevo conoscere.
Dovevo ringraziarla, farle un
inchino, donarle un fiore, come fanno i fedeli davanti alla Madre Terra.
Infatti senza di lei, quell’uomo non esisterebbe.
Lui invece era teso e pallido,
come qualcuno che deve affrontare una Sfinge.
Cercava di dirmi qualcosa, ma era
confuso e aveva un filo di voce.
Comunque sia, i suoi timori non riuscivano ad
influenzarmi, perché ero ingenua e assolutamente innamorata.
Conobbi tutta la sua famiglia,
che era davvero squisita.
Mi sentivo come chi entra nella
Città incantata di Oz, popolata da personaggi mai visti e dove, solitamente,
tutto funziona fuori dalle regole conosciute.
Ci siamo messi tutti insieme
attorno a un lungo tavolo.
Come per magia, sono apparse
pietanze così saporite che pensai di non avere nessun enzima, nel mio corpo,
capace di digerirle.
Ed era soltanto l’antipasto!
Poi arrivò il primo piatto,
ravioli fatti in casa dalla sorella.
E in seguito, il secondo piatto,
il terzo e l’insalata… e non finiva più!
Ero a quel tavolo già da tante
ore!
Sembrava l’ultimo giorno della
mia vita, quando si mangia per congedarsi dal Mondo.
Mi hanno versato nel bicchiere un
vino toscano… e allora sì, ero
certa che fosse davvero il mio ultimo giorno sulla Terra, quando alla fine si
può assaggiare la bevanda degli Dei.
Invece per lui era tutt’altra
cosa.
Beveva quel vino senza cambiare
il colore della sua anima, completamente immune all’effetto magico.
Era ancora molto teso e mi
guardava come chi si aspetta il brutto finale di una favola.
Una di quelle favole dove il
protagonista, dopo d’avere gustato un buon banchetto, viene mangiato dalla
strega.
Però accadde diversamente.
Tra me e la sua madre ci fu
subito una grande empatia.
Anche se io non le dissi mai
nulla, aveva capito che la ringraziavo profondamente.
In modo enigmatico, mi invitò
alla cucina.
Ero onorata, perché la cucina è
il luogo incantato per eccellenza.
E’ dove si creavano quelle
pietanze incredibilmente saporite.
E lì, in quel Regno, mi chiese se
avessi qualcosa da dirle.
Io tacqui.
Lei annuì contenta, poi prese un
coltello strano, me lo passò e mi fece tagliare il prezzemolo.
In questo momento condiviso, cercò di dirmi ciò che fino
ad oggi non riesco a ripetere, semplicemente perché non apparteneva al
linguaggio razionale.
Eravamo in un regno dove ogni
donna può capire perfettamente ciò che è indecifrabile.
E in quell’esatto momento avevo afferrato la sua richiesta: voleva che io
sposassi suo figlio!
Intuii che nella natura della sua
proposta c’era qualcosa che andava aldilà del matrimonio.
Credo che una parte di lei, capace d’amare, mi stesse dando la sua
approvazione.
Credeva che io potessi seguire il
suo figlio ferito, fino agli abissi segreti.
Intuiva che io avrei sopportato
il momento in cui lui mi avrebbe mostrato il suo più orribile volto.
Credeva che io avessi il coraggio di annegare, come Moema.
Mi dava la sua benedizione,
affinché io proseguissi quel lungo e arduo cammino verso l’Amore.
Ero scossa, vivevo un misto
d’allegria e paura per l’immenso lavoro che avevo davanti a me.
Tornai al tavolo gigante per il dessert e guardai Giuliano.
Quell’uomo che prima sembrava
invincibile, adesso sembrava che trattenesse dentro di se, un pianto antico.
I suoi capelli di argento di
luna, ora, erano scoloriti.
In mezzo alla sua rumorosa
famiglia, era una specie di “brutto anatroccolo”.
Capii che qualsiasi cosa lui
potesse fare o dire, era immediatamente incompresa.
Succede, a volte, di essere un
uovo di cigno caduto in un nido d’anatre e nessuno è colpevole di questo.
Per lui sarebbero stati necessari
molti altri anni, prima di fermare questa sofferenza.
Invece noi eravamo soltanto
all’inizio di questo viaggio per l’Italia, e all’inizio del nostro viaggio
insieme.
Come avrebbe previsto profeticamente sua madre, a me aspettava un lungo lavoro,
che mi avrebbe portato anche ad un amaro incontro con me stessa…
Però, tutto era appena
cominciato.
Stavo finalmente, comprendendo
meglio quell’uomo.
Il perché della sua ferma
intenzione di non intraprendere nessuna relazione, né con me, nè con
nessun’altra.
Inoltre, realizzai che aveva
ancora molto vivo in lui, un sentimento platonico per la sua precedente
compagna e che, a volte, lei girovagava tra di noi, quasi come una presenza.
Cominciavo a intuire tante nuove
cose, sia belle, sia difficili.
Stavo per perdere la mia
ingenuità.
Avevo il dubbio di avere il
coraggio sufficente per fare il passo successivo dopo la fase
dell’innamoramento e sono sicura che lo stesso valesse anche per lui.
Ma tra noi, c’era ormai una forza
che ci sosteneva anche nelle ore più buie, che superava ogni paura.
E nonostante pensavo che fosse
una relazione impossibile, ecco che lui mi accennò la sua inarrestabile
capacità d’amare: scoprii che, in questo viaggio, aveva pianificato l’incontro
con il Circo.
Mi regalava il mio proprio sogno.
In viaggio – parte 2
Ero dentro la macchina, e
guardavo tutta la sua famiglia salutarci dal balcone di casa.
Anch’io li salutavo, a grandi
gesti e tante volte, finché la loro sagoma non sparì dal paesaggio.
Il cielo già era tutto blu scuro
e pieno di stelle, quando arrivammo davanti a delle mura con uno strano piccolo
portico.
Lui non mi disse nulla ed
entrammo insieme.
Dalla piccola porta apparve una
gigantesca piazza, tutta verde, con strani palazzi bianco-fantasma che
sembravano essere sospesi.
Mi misi a correre e alla fine la
vidi: la torre di Pisa, ero nella Piazza dei Miracoli!
Quel posto non poteva avere
un’altro nome!
Più e più volte chiusi gli occhi
per svegliarmi da quel sogno, ma quando li aprivo la Piazza era sempre lì.
Quella Torre non era un’illusione
collettiva, esisteva davvero!
Ed era piccola, ma allo stesso
tempo smisurata, incapace di stare dentro uno sguardo.
Stavo morendo dalla gioia e non
riuscivo a guardare contemporaneamente la Piazza verde-smeraldo, la Torre e
quell’uomo.
Era troppa bellezza messa insieme
e non ero pronta.
Comunque sia, il coraggio mi
mancò lo stesso.
Volevo dimenticare la promessa velata
che feci a sua madre di affrontare i pericoli, di intraprendere il tortuoso
cammino di pietre verso l’Amore.
Niente pietre, volevo restare lì per sempre, su quel prato
verde incantato, rinchiusa in quell’esatto momento per tutta l’Eternità.
Però, mai avevo visto un fiume
fermarsi.
(anche se un contadino della
mia città, mi aveva garantito e giurato che a mezzanotte il fiume si fermava
per fare passare l’uomo-lupo)
Ma credo che, in realtà, la
natura del fiume sia quella di seguire in avanti, come il tempo e la vita.
E così fu, e il viaggio proseguì.
E le cose diventavano sempre più
belle, che quasi facevano male, come le rose piene di spine.
Fino ad oggi, non saprei dire
esattamente i nomi delle città che abbiamo visitato, però ricordo vivamente di aver
avuto il cuore in mano quando siamo entrati nella regione del Lazio, per
ritrovare il Circo.
Una marea di pensieri andavano su
e giù dal mio corpo senza controllo.
Passavano nei piedi, nello
stomaco, in mezzo agli arti, in una parte del cervello e poi tornavano facendo
una sosta nella gola e si tuffavano nel cuore per farlo scompigliare.
Non sapevo come affrontare
un’incontro atteso per quattro anni.
Per lungo tempo questo era stato
l’unico pensiero luminoso della mia vita, quella voglia di ritornare ad un
posto tanto amato… ma sentivo che non ero più quella che aveva desiderato tutto
questo… però se non fossi tornata a rivedere il circo, sarei stata come
prigioniera di un miraggio…
Ad un tratto cominciai ad avere
paura dei miei pensieri.
Ma per un’altra volta, la vita mi
soccorse dalle inutili teorie e preoccupazioni.
Tornate al primo capitolo di
questa storia; andate pure, che vi aspetto.
Al vostro ritorno forse mi
chiederete di predire la Vostra sorte, perché io ho azzeccato in pieno la mia.
La mia unica eredità ricevuta dal
Brasile è lo stato onirico con il quale vedo la Vita.
Allora:
nel luogo dove c’era una volta il
Circo, dove sono stata il bersaglio vivente per il lanciatore dei coltelli,
dove ho tirato in aria dei piatti, dove avevo il corpo tutto coperto delle
risate dei bambini… adesso c’era un parcheggio.
La visione di quel parcheggio al
posto del Circo…l’ho sognata per anni…credevo fosse soltanto un incubo!
Una connessione? …una predizione?
…chissà?
L’unica cosa che posso dire è che
l’averlo sognato spesso, mi alleggerì l’impatto con la realtà.
Avevo già pianto talmente tanto
in sogno che davanti a quella visione non ne soffrii poi tanto da far male al
cuore.
In quel parcheggio squallido,
vidi passare Anna, una donna sofferente, che era stata una frequentatrice
fedele agli spettacoli del Circo.
Ci invitò a casa sua per una
tazza di caffè e mi raccontò che quando in Italia è avvenuto il cambio della
Lira per l’Euro, il Circo chiuse.
E che ora, loro facevano solo
piccoli spettacoli di strada, ma che lei non sapeva esattamente dove.
Mentre parlava, la sua malinconia
era talmente grande da fermare il vento fuori.
Mi sentivo soffocare.
Capii che l’assenza del circo
aveva lasciato un vuoto nella sua vita e di come l’arte, anche se inutile, può
sostenere delle vite umane.
Invece quell’uomo era determinato
a rintracciare la famiglia del Circo ad ogni costo.
Mi voleva bene!
Questo era diventato anche più
bello di tutto il resto.
Partimmo per Aprilia, dove sapevo
che i circensi avevano il loro camper.
Non sapevo l’indirizzo preciso,
ma qualcuno ci disse che c’era un circo, due quartieri vicino.
Nuove speranze rinnovate.
Ci arrivammo correndo, e da
lontano vidi il tendone, vidi il camper, vidi il circo… ma non erano loro e
nessuno ne sapeva nulla.
A questo punto, stranamente, mi
sentii bene.
Ci siamo arresi, non avevamo
altro da fare che gustare un piatto di pasta all’arrabbiata, ed era tanto buono
proprio perché aveva il sapore del nostro presente.
Sapevo già che non è sano vivere
nel passato, girarsi continuamente indietro.
Sta scritto da tutte le parti:
Orfeo che guarda indietro l’amata e questa sparisce, la moglie curiosa che
guarda indietro la città di Gomorra e si trasforma in una statua di sale.
Ebbi la sensazione che a forza di
guardare indietro per tanti anni, l’immagine fissa del Circo mi aveva
trasformata in una pietra e la mia vita si fosse fermata.
Ma adesso l’incantesimo era
spezzato e potevo essere finalmente libera e camminare avanti.
Anche se nel mio cammino avessi
trovato altre streghe, draghi e fantasmi da sconfiggere, è sempre meglio
vivere, che essere di pietra.
L’arrivo in Sicilia fu,
veramente, il primo passo verso l’amore.
Mi richiedeva coraggio.
Ero profondamente sconvolta della
forza naturale di quella terra.
Però, in mezzo a quel paesaggio
epico, ai piedi del Vulcano, quell’uomo sparì.
C’era e non c’era.
Si muoveva, parlava, cantava, ma
la sua anima era altrove.
Tutt’oggi, lui ha questo stile di
vita, sparisce dentro di sé per un tempo, per poi tornare rinnovato e felice.
E’ una cosa molto bella da fare e
con il tempo ho imparato a rispettarla, ma in quel momento, non si trattava di
un semplice e benefico sparire.
Era stato rapito della Signora
del Danubio.
Quell’uomo continuava a nutrire
un sentimento platonico per la sua precedente compagna e, di conseguenza, lei
era diventata superiore a qualsiasi altra donna reale e stava diventando una
potente entità, un fantasma, che ho soprannominato “Signora del Danubio”.
La prima volta che lo vidi così abbagliato da questo
spettro, fu proprio in Sicilia e provai un dolore che, per diversi anni, mi
fece annullare ogni ricordo di quel soggiorno.
Però, adesso che posso toccare
liberamente i miei ricordi, so per certo che è stato un soggiorno bellissimo!
Lui era rapito, ma quando tornava
da quel mondo irreale, mi sventolava una piccola bandiera, per mostrarmi il
sentiero dove potevo ritrovarlo perchè anche lui voleva raggiungermi.
Sì, è stato davvero un bel
viaggio.
Quel mare, quelle rocce,
quell’imponente Vulcano, tutti loro mi suggerivano:
“Vai avanti, non ti fermare,
fatti coraggio!” e diedi loro ascolto.
Decisi d’amare quell’uomo così
com’era, con tutto ciò che aveva, con il suo cuore protetto da uno scoglio, con
l’anima fragile e con un fantasma al suo fianco.
Anch’io, in seguito, avrei
scoperto di avere dei miei scogli, ma entrambi, imparammo a sventolare le
nostre piccole bandiere, anche in mezzo alla nebbia più densa, e questo ci
serviva per farci ritrovare ogni volta e continuare a camminare insieme.
Katia