Capitolo 13 - sotto il cielo, Nuvole - parte 1
“sotto il cielo, Nuvole di
Genova” era pronto.
Le gigantografie dei sorrisi
volevano incontrare il loro pubblico.
La Pinacoteca di Atibaia non
aveva lo spazio sufficiente per un allestimento così complesso come lo avevo
progettato, ma era il più grande spazio che il Municipio potesse mettermi a
disposizione, e allora la adattai.
Il lavoro dell’allestimento fu
senza aiuto alcuno e come al solito, io e Katia, ci mettemmo al lavoro.
La sua complessità ci fece dannare
per molte ore in quei giorni di caldo afoso.
Eravamo sfiniti, completamente
sfiniti.
Sembrava dovessi mantenere una
parola data, un impegno con il mondo intero, una sfida contro la morte stessa,
ma dovevo farcela, in tempo, in quel breve lasso di tempo, ad allestire la
mostra, come meglio potevo, per il rispetto che avevo per coloro che erano
presenti nelle mie immagini.
Ricordo molto bene che quasi
svenni.
Ero semi addormentato su una
piattaforma in legno che serviva alla mostra e Katia era preoccupata seriamente
per me.
Forse pensò che fossi impazzito.
“Rinuncio.”dissi.“…non ce la faccio più…”
Stavamo andando contro corrente.
No, tutto ci era contro, anche noi stessi.
Non ho presente la reazione di
Katia, dato il mio momento confusionale, ma so che lei mai mi abbandonò.
Sarebbe stata con me se avessi
rinunciato o se avessi dato l’ultima goccia di sudore e sangue, in quelle
ultime ore notturne, prossime all’inaugurazione.
Non avevo forze e mi sentivo
svuotato.
Ma qualcosa accadde.
E mi ritrovai sulla scala, per la
milionesima volta, ad appendere l’ennesima grande immagine, pensando o dicendo,
“lo faccio per Voi.”
Continuai come non so, ma so che
fino al momento dell’apertura, stavo ancora sistemando le ultime immagini,
senza aver dormito la notte prima, perché eravamo chiusi lì dentro.
Le 80 immagini erano fissate a
due metri di altezza e facevano il giro del salone posizionate in circolo
grazie a un complicatissimo labirinto di fili invisibili.
Altre 80 piccole immagini, su una
piattaforma centrale, delle stesse persone ma ritratte a volto serio.
Un proiettore illuminava una
serie di teloni, fissati sul soffitto della sala con le immagini di nuvole in
movimento.
Musica di fondo, insieme alle
voci registrate, erano la colonna sonora, diffusa da un sistema audio in tutta
la sala.
Un sipario lo avevamo istallato
per dividere la sala espositiva da quella da una performance teatrale.
E il momento dell’inaugurazione
avvenne.
Era per me necessario che il
pubblico entrasse nello spazio riservato alle immagini, già preparato
all’incontro e avevo studiato una performance teatrale che avrebbe aiutato in
questo.
Chi oltre Katia, che aveva
seguito e vissuto tutto il processo della realizzazione del progetto, poteva
essere l’attrice?
Vestita di nero in piedi sul balcone
della reception, accolse il pubblico, che era curioso e impaziente.
La sua performance era una
ripresa di ciò che avevano raccontato i miei intervistati.
Loro erano ancora protagonisti con la loro vita, ma questa volta rappresentata in forma teatrale.
Loro erano ancora protagonisti con la loro vita, ma questa volta rappresentata in forma teatrale.
Le loro emozioni, donate al mio
microfono, venivano rielaborate per creare nuove emozioni.
Magia del Teatro.
Magia di Katia.
Il testo era basato sul filo
della vita e, l’attrice, aveva in mano un gomitolo di filo rosso.
Al termine del suo racconto, metteva
nelle mani di ogni spettatore, una parte del filo, fino a creare una catena di
persone e, continuando a dare suggestioni sulla metaforica appartenenza di quel
filo, finalmente, apriva il sipario che divideva la sala e invitava il
pubblico, unito dal filo rosso, a entrare, nella musica, tra le nuvole, e tra i
sorrisi.
Fu magico.
Questa prima esposizione di
“sotto il cielo, Nuvole” ci portò ad essere maggiormente conosciuti dalla parte
sociale più benestante della città, al punto che si può dire che questo fu
effettivamente il nostro primo biglietto da visita per un interscambio tra i
Paesi, dove la poesia voleva essere la chiave che apriva la porta, e che
l’amore doveva essere l’unico argomento di questa conversazione.
Il nostro compito non sarebbe
stato concluso, se questa mostra non l’avessero visitata anche chi non aveva
mai avuto prima accesso a certe informazioni.
Per questo chiedemmo al Comune la
possibilità di utilizzare un autobus, con il quale invitare il pubblico che
sognavamo di avere: coloro che avevamo visto crescere con noi, i ragazzi della
comunità religiosa, che si emozionarono solo all’invito, e le famiglie
coinvolte nei nostri progetti, residenti nella favela, che portarono con loro
tutti i loro figli, vestiti con il più bell’abito da festa.
Fu un onore per noi ripresentare
la performance dell’inaugurazione, dedicandola a loro.
Conclusa la parte teatrale, dopo
alcuni minuti accesi le luci per invitare i nostri cari amici ad un applauso,
rivolto a Katia.
Quell’applauso ha ancora eco
dentro di noi, perché era carico di amore e riconoscenza.
Ci guardammo negli occhi e ci
commuovemmo insieme, finalmente, per noi stessi.
sotto il cielo, Nuvole - parte
2
Un proiettore rumoroso, super-otto si chiamava, e il suo fascio di luce, piccolo perché
proiettava le sue immagini sulla vicina sponda del mio letto.
Di notte, prima di dormire e di
nascosto dai miei genitori, guardavo il mio cinema.
Erano cartoni animati, a colori.
E comiche.
Due o tre film, sempre gli
stessi, avuti chissà da chi e come, ma erano il mio cinema, per un breve
periodo di tempo.
Poi scomparvero, e anche di
questo non conosco il motivo.
La memoria è uno scrigno
difficile da aprire.
Rivela cose e altre le oscura.
Forse esiste uno scomparto
nascosto, in quello scrigno.
Forse dovremmo cercarlo.
Era prevista nel progetto “sotto
il cielo, Nuvole” la realizzazione del
ritorno a Genova, con le immagini dei sorrisi dei brasiliani.
Ma non avevo uno studio
fotografico a disposizione e allora pensai che fotografare durante
l’esposizione poteva essere un’idea.
Infatti molte furono le adesioni,
ma sentii che non dovevo stare fermo in un unico luogo.
Sempre con Katia al mio fianco,
fermai persone per la strada, nella piazza centrale della città, nei negozi,
ovunque incontrassi una possibilità di scambio.
Ripresi il sorriso di un
barbiere, nel suo negozio fatiscente, immigrato dal nord alla ricerca di una
vita dignitosa, forse mai trovata, vicino alla grande metropoli, fotografai la
proprietaria di un piccolo bar, straordinaria, viva e forte, con i seni
giganteschi per contenere il suo grande cuore, fotografai un anziano signore,
distinto, nobile, che sorrise con l’eleganza di un principe esiliato,
fotografai bambini, donne, uomini, due transessuali, uno dei quali fu pianto
pochi mesi dopo per il suo omicidio, fotografai la venditrice di oggetti di
magia nera e bianca, una signora che gentilmente si offrì per donare il suo
sorriso, anche se forse non ne aveva mai fatto uno in vita sua, fotografai
Jorge, sua madre, sua nonna e sua sorella, fotografai i nostri amici volontari,
fotografai un uomo di strada, ubriaco, che si sforzò per mostrare il meglio di
sé, fotografai il sindaco di Atibaia, che anche lui si sforzò ma non riuscì a
dare il meglio di sé, fotografai politici, bambini orfani, assessori, ragazze
madri, persone miti, violente, padri e figli, fotografai tutti coloro che
volevano esserci, spazzini, muratori, casalinghe, donne molto ricche, donne
senza nulla, tutti sorridendo, tutti donatori.
E poi andammo in una casa di
riposo per anziani.
Era l’abbandono la prima
sensazione che mi colpì, quando entrai, e la profonda solitudine, la morte, nel
suo aspetto più tetro, era presente come un’ospite fisso.
Chiesi i permessi ai responsabili
dell’Entità e invitai gli anziani ospiti a partecipare.
Alcuni di loro non erano in condizioni, ma altri furono lieti di sorridere, senza denti, senza nulla, sorrisero.
Alcuni di loro non erano in condizioni, ma altri furono lieti di sorridere, senza denti, senza nulla, sorrisero.
In quell’ospizio, tornammo
ancora, gli anni dopo, per portare la nostra energia, con clown e
intrattenimenti, ma mai più rividi le persone che quel giorno donarono il
sorriso.
Questa volta il “sotto il
cielo, Nuvole” era cambiato.
Era più aperto, senza la barriera
dell’età calibrata dalla mia precisione metodica, e furono 120 le persone che
si prestarono al progetto.
Scelsi di fermarmi a questo
numero perché sapevo che altrimenti non avrebbe avuto mai fine.
Le fotografie erano su pellicola che, una volta stampate e
convertite in file digitali, assemblai in un video, aggiungendo una musica di
sottofondo che avevo registrato in una festa folcloristica della città.
Ed ecco a voi, “sotto il
cielo, Nuvole di Atibaia”.
Atibaia lo vide in una proiezione
pubblica, e uscì anche un articolo sul giornale, e poi Katia lo portò con sé in
Francia ad un Festival dove lei, attraverso la sua arte, rappresentava la sua
città e, dopo ancora, lo mostrai a Genova, per chiudere definitivamente il
cerchio, per completare il ciclo con la risposta al sorriso, con un altro
sorriso.
80 sorrisi di Genova.
120 sorrisi di Atibaia.
E non sorridevano a me o alla
macchina fotografica.
Sorridono a Te, che stai
leggendo, ora.
Giuliano





