Capitolo 7: Secondo incontro.
Katia aveva sbagliato aereo.
Lo seppi da una sua telefonata da
Milano, avvisandomi che sarebbe arrivata, non all’aeroporto ma alla stazione
del treno.
Cominciavo a dubitare che tutto
sarebbe andato liscio.
Ma ormai ero pronto per il suo
arrivo.
Avevo un’auto ed uno scooter,
entambi di seconda o terza mano.
Scelsi l’auto per andare alla
Stazione ferroviaria di Principe e incontrare Katia.
Immaginavo avesse bagagli ricolmi
di vestiti e scarpe e accessori, come le donne usano portar con sé, anche fosse
per brevi gite, e le sue opere della prevista esposizione.
Avrebbe dovuto restare in Italia
per tre mesi, questo il tempo limite per un turista.
Ma Katia di turista aveva ben poco.
Ma Katia di turista aveva ben poco.
Arrivai alla stazione e la vidi
da lontano.
Aveva cambiato colore ai capelli
e aveva con sé solo una strana valigia.
In verità, rimasi molto
perplesso.
Non so come dire, ma non la
riconobbi completamente.
Mi sembrava lei, ma sembrava
anche non lo fosse.
Una sensazione che non mi
aspettavo.
Così la invitai alla macchina,
caricai la sua valigia, che aveva dipinto lei stessa, e misi in moto.
La guardavo continuamente, per
vedere se la sensazione di estraneamento fosse passata, ma restò insieme noi.
Era molto tesa e spaesata, aveva
un’aria di chi sta sbarcando in mezzo ai marziani e non sa che dire.
Io ero il marziano,
evidentemente, dato che percepivo che l’estraneamento era reciproco.
Andammo direttamente al mio
appartamento, dopo aver tentato di presentarle Genova e per fortuna, proprio
poco prima di entrare, ci ricordammo di noi.
Ci eravamo ritrovati ed era un
incontro d’amore.
Entrammo in casa e non uscimmo
più per tre giorni.
Dopo l’assestamento iniziale, si
cominciò a ragionare sul da farsi.
Io non mi permisi di iniziare una
storia sentimentale, nell’immediato.
Troppo vicina era la separazione
che avevo sofferto e non volevo assolutamente impegnarmi in un’altra relazione.
Volevo concentrare le nostre
energie sui progetti che occorrevano a darearte per evolversi, e noi due con
“lei”.
Darearte ci chiedeva energia e io
e Katia la dovevamo creare, dal nulla.
Ci impegnammo subito sulla
mostra.
Katia aveva portato con sé le
opere. Ma solo le opere.
Non aveva nient’altro dentro
quella valigia, tanto strana che anch’essa finì alla fine nell’esposizione.
Avrebbe dovuto comprarsi tutto,
aveva solo i vestiti con i quali era venuta, ed erano estivi.
Era marzo e a Genova era freddo.
Il dubbio che tutto sarebbe
andato liscio, si fece certezza.
Ma questo era un dettaglio che
raccontava di lei, questa ragazza che con la gonna rossa attraversa l’oceano e
si sposta senza bisogno di denaro, né di ricambio d’abito, né di altro
materiale.
La sua valigia era colma di sogni
e poesie, di un’avventura e d’amore.
Per questo, capii, ero
affascinato, incantato, trasportato.
Io, tanto razionale e metodico, e
preciso e spaventato, con lei ero un pesce con la bocca aperta.
Non credevo a quello che vedevo,
perché fuori dalle mie possibilità, dalla mia concezione impostata.
Anche io sognavo, e volevo vivere
i miei sogni, condividerli, raggiungerli, ma cercavo sempre di creare un
percorso, un metodo, un raziocinio per arrivare a conquistarli, ma era questo
raziocinio che, forse, me li faceva perdere di vista nel cammino.
Con lei avevo l’energia del volo.
Come volare, si poteva raggiungere
il luogo sperato, il luogo amato.
Il sogno, appunto.
Con lei potevo credere fosse
possibile, nonostante le barriere.
L’impossibile si trasformava in
“non credevo fosse così facile”.
Ho sempre pensato che fosse
diversa, fin dal giorno che vidi la sua gonna rossa, ma frequentarla,
ascoltarla cantare canzoni incomprensibili, in mezzo alla gente, o vederla
danzare per me, sensuali musiche arabe, mi convinse che fosse veramente unica.
E la sua arte rispecchiava la sua
Essenza.
Colorata e viva, vivace e vitale.
Spiritosa e allegra.
Ma anche malinconica e sofferta,
piangente e ferita.
Tutto il suo universo era
espresso nei suoi dipinti, nelle sue opere.
Il suo stile era vicino a quello
Naif, il tratto più vicino all’infanzia, e lì comunicava.
Le opere che aveva portato con sè
erano di tessuto, ritagli di stoffe che cuciti insieme in un collage di mini
dipinti, rivelavano una storia del suo tempo trascorso.
Era il tempo che ci aveva
separati.
E lì potevo ritrovare la mia
assenza e la mia presenza.
La nostra storia anche senza di
noi.
Pochi mesi prima, in Brasile,
avevo incontrato Katia ad un suo banchetto espositivo, durante un evento di
artigianato locale.
Non avevo visto nulla, tra tutte
le migliaia di offerte della manifestazione, che avesse la stessa magia, dei
suoi dipinti.
Di una semplicità disarmante, non
riuscivo a togliere lo sguardo da loro e allo stesso tempo, non riuscivo a
capire il motivo di tanta attrazzione.
Pensai all’apparentemente casuale
disposizione dei colori, forse ipnotica, al richiamo ancestrale del suo
contenuto o allo stile che richiamava all’infanzia di ogni essere umano.
Forse tutto o forse nulla di
questo.
Forse erano solo dipinti per
amore.
E l’Amore, senza dubbio alcuno, è
l’energia più bella del mondo.
Giuliano









